lunedì 30 marzo 2015

PACE PER IL FUTURO

di Gianluca Bissolati

Siamo fratelli
e ci facciamo guerra.
Con te ho più in comune
che colui che mi comanda.
Siamo ciechi
perché vedere fa male
che il mondo nostro padre
è un padre che muore.
Fratello
ti tendo la mano,
non la ferire,
perché anche sanguinante
non fermerò la mia carezza.
Togliamo la benda
che il mondo ci impone,
facciamo pace
per il bene comune.
Mano nella mano,
come una famiglia,
saremo i padri
del mondo che viene.

mercoledì 25 marzo 2015

LIBERTÀ

di Gianluca Bissolati

Corsa
verso il tramonto
a piedi nudi
noncurante degli sguardi
di chi non ne sa.

domenica 22 marzo 2015

VITE

di Gianluca Bissolati

Luna rossa
come il sangue
di cui da anni
non faccio più tributo
per i miei peccati.
Eppure ne commetto
praticamente ogni sera.
Per ogni errore
una goccia di sangue.
Sarei già morto.
Invece
conservo solo vecchie croci,
icone dei miei sbagli
e di come continuo a farne.

giovedì 19 marzo 2015

E DUNQUE SCRIVO

di Gianluca Bissolati

Non ho niente
che il mondo
possa desiderare.
Comune fino al midollo
non ho mezzi per distinguermi.
E quindi sbraito
in cerca d'attenzione
convogliando il rumore
nella punta di una biro.

mercoledì 18 marzo 2015

SCOMPARSA

di Gianluca Bissolati

Ridi
commediante,
lo spettacolo
lo richiede.
Recita
la parte
che la farsa
pretende.


Non tremare
davanti
al Tutto
che ti si apre.
Non cadere
dentro
al Tutto
che ti inghiotte.


Muori!,
commediante,
ma almeno
lontano dal palco.

lunedì 16 marzo 2015

DEMIURGO FALLITO

di Gianluca Bissolati

Creo mondi e realtà
che nessuno vedrà mai.
Demiurgo fallito
affogato
in una palude di sogni
ornata di fiori.
Ci starò a vita
e nemmeno mi dispiace.

martedì 10 marzo 2015

PIOGGIA

di Gianluca Bissolati

Ho sentito
il tuo suono
innumerevoli volte.
Lacrime
che non piango.
Passi
su strade che non cammino.
Mi calmi
facendomi traboccare
e scrivere di cose
che altrimenti non saprei.

martedì 3 marzo 2015

IL SOLDATO E LA CAVERNA

 di Gianluca Bissolati

 I due si amavano, troppo per essere descritto a parole; troppo per essere compreso a pieno persino da loro. Non trascorreva giorno senza che si trovassero, senza che giocassero a guardarsi, a baciarsi, a progettare il futuro. Volevano convivere, senza però sposarsi; credevano che il contratto matrimoniale fosse una mancanza di fiducia per la grandezza del loro sentimento. Perché costringersi a stare insieme firmando un foglio di carta? I loro cuori che battevano all'unisono non erano più che sufficienti per avere la certezza di non separasi mai?
La mattina il ragazzo si svegliava pensando a lei; lei, ancor prima di svegliarsi, aveva nella mente l'immagine di lui, dipinta in un sogno fantastico, talmente bello da non volersi svegliare. Lui le scriveva, lei rispondeva. Lui andava a prenderla sotto casa, e lei lo faceva aspettare. Non lo faceva per molto, al massimo dieci minuti, quanto bastava per aumentare il desiderio di vedersi. Dopo averlo fatto attendere scendeva, e il ragazzo le correva incontro, prendendola per i fianchi e baciandola.
Avevano lui vent'anni, lei diciotto.
Nessuno dei due lavorava. Le scuole erano finite da poco per entrambi; lei promossa con novanta centesimi alla maturità, lui con sessanta, dopo essere stato bocciato due volte in terza superiore. Non avevano nulla per la testa, se non loro stessi, l'uno esistente solo per l'altra: erano il ritratto della miglior forma di egoismo che si possa immaginare, quella condivisa con una persona speciale. Nulla poteva andare storto. O forse no.
I telegiornali parlavano di scontri armati a sud del paese; non ci sarebbe voluto molto prima che il conflitto si espandesse a livello nazionale. Gli invasori, arrivati dalla Libia, cercavano di conquistare il territorio italiano per il bene della loro causa.
Ma ai due giovani questo non importava; non sapevano nemmeno cosa stesse accadendo a livello internazionale, fino a che, una mattina, dopo aver mandato il buongiorno alla sua fidanzata, lui ricevette una lettera dall'esercito italiano. Poche righe, una convocazione: la leva era di nuovo obbligatoria, ed il ragazzo era desiderato in una caserma del sud Italia, nel pieno del conflitto. Naturalmente lo avrebbero addestrato prima di mandarlo a combattere, e naturalmente, una volta pronto, non si sarebbe potuto tirare indietro.
Il ventenne prese in mano il cellulare, e per prima cosa, tra le lacrime, compose a memoria il numero di lei. La ragazza ancora dormiva, ma sentendo il cellulare squillare con insistenza si svegliò, ed un sorriso le illumino il volto. Rispose raggiante, contenta che il suo tesoro l'avesse chiamata per darle il buongiorno, ma lui aveva una voce strana, era chiaramente sconvolto. Le disse che voleva vederla subito. La giovane, saltando giù dal letto, senza chiedere spiegazioni gli disse di presentarsi tra dieci minuti sotto casa.
Quando arrivò lo vide con gli occhi rossi, più tardi, quando si divisero, entrambi non avevano più lacrime da spendere. Parlarono per più di tre ore, cercando in ogni modo di trovare un rimedio al problema che era sorto. Ma non si trattava di un semplice litigio, si trattava della guerra, e loro due, nemmeno con tutto il loro amore, avrebbero potuto risolvere da soli il conflitto.
Il giorno della partenza arrivò, ed insieme ad altri cento ragazzi del paese il giovane si incamminò verso il pullman che lo avrebbe condotto alla stazione. La madre e il padre lo salutarono, timorosi che quella fosse l'ultima volta in cui avrebbero visto il figlio vivo. Lei intanto piangeva in disparte, senza nemmeno alzare gli occhi sul mezzo che aveva ingurgitato il suo fidanzato.
I due avevano trascorso insieme la notte precedente, e tutto quello che avevano da dirsi se l'erano già detti. Lui aveva sussurrato alla fidanzata che se non fosse tornato dalla guerra lei si sarebbe dovuta rifare una vita, la ragazza a queste parole aveva eroicamente trattenuto le lacrime, e con un sorriso più tirato di quanto sperasse, gli aveva risposto di non dire cazzate, perché da quella dannata guerra sarebbe tornato, ed allora avrebbero comprato una casa e sarebbero andati a vivere da soli. Si erano baciati, e facendolo aveva messo l'una la mano sul cuore dell'altro, rimanendo uniti in silenzio, ascoltato i loro battiti cardiaci incedere all'unisono.
Ma ora lei non c'era più. C'era solo lui, che guardava fuori dal finestrino del treno che lo avrebbe condotto in Calabria. Cosa sarebbe stato della sua vita? Cosa avrebbe visto una volta arrivato alla meta?
Nel giro di mezza giornata giunsero a destinazione. Il luogo in cui era situata la caserma era ancora pacifico, ma di lì a poco più di trenta chilometri, oltre lo stretto, i razzi rimbombavano per i vicoli dei paesi affacciati sul mare. Lui, udendo in lontananza il rumore degli scoppi, si chiese quanto tempo ci sarebbe voluto prima che la guerra infuriasse anche lì.
Non ci volle molto. Dopo soli quattro mesi di addestramento, il primo razzo a lunga gittata distrusse una delle case poco distanti la caserma, colpendo chiaramente il bersaglio sbagliato. Mandato dal comandante insieme agli altri soldati a prestare soccorso, giunto sul luogo dell'incidente fu investito da un nauseante odore di sangue, e una scena raccapricciante gli si presentò alla vista: una donna di poco più di settant'anni che teneva tra le braccia il corpo senza gambe di un ragazzino di dieci anni. L'anziana urlava disperata, mostrando una bocca sdentata grande quanto una caverna. Il ragazzino, sul punto di morire, si dimenava portandosi le mani al volto, e dopo qualche sussulto, con un rantolo che sembrava provenire dall'inferno, si spense tra le urla della nonna. Il giovane soldato assistette come intontito al macabro spettacolo, e prima ancora di muovere un passo in direzione degli sventurati, fu colto da un conato di vomito. Come se le budella gli si torcessero, si ritrovò a rigurgitare la sua stessa bile nel mezzo della piazza, finendo con l'accasciarsi a terra privo di sensi.
Al suo risveglio era in caserma, sulla branda che aveva occupato per tutti e quattro i mesi del suo addestramento. Un altro soldato, con tono perentorio e sguardo spento, informò il giovane che il comandante lo attendeva nel suo ufficio. Con passo strascicato, il ventenne si diresse alla convocazione, dove il superiore che lo desiderava era intendo a compilare scartoffie.
Il colloquio fu breve. A seguito dell'accaduto, il comandante aveva giudicato il giovane non atto al campo di battaglia; sarebbe tornato a casa, dove lavorando per il bene della Patria sarebbe stato sicuramente più utile alla causa italiana. Non doveva prendere questa decisione come una sconfitta - aveva detto il superiore - doveva vederla come una nuova opportunità, più adatta a lui, per prestare un servizio realmente indispensabile al paese. Il ragazzo si limitò ad annuire ad ogni parola del militare di grado superiore, prima di andare a preparare la valigia per il ritorno.
Come sul treno quattro mesi prima, anche in camerata regnava il silenzio. Non erano in molti quelli rientrati alla base, ma i pochi uomini nello stanzone lo guardavano tutti con occhi spenti. Cosa c'era nel loro sguardo che ieri non c'era? O forse, cosa mancava oggi, rispetto al giorno prima? Guardando quei volti come se fossero uno specchio, si chiese se anche il proprio viso fosse mutato tanto violentemente nel giro di poche ore.
La notte giunse umida e calda. Nessuno riusciva a dormire; lui men che meno. Ogni volta che chiudeva gli occhi, sulle palpebre gli si disegnava la bocca sdentata della vecchia urlante. Per quanto tempo quel ricordo non lo avrebbe fatto dormire? Per quanto tempo si sarebbe sentito un fallito per non essere riuscito a soccorrere un'anziana che trasportava il nipote mutilato?
Il mattino seguente, al sorgere del sole, si diresse da solo alla fermata del pullman. Nessuno degli altri ragazzi era venuto a salutarlo, nessuno del paese si preoccupava di lui. Del resto, non si aspettava nulla di diverso. Non c'era tempo per quelli come lui; non con delle macerie in cui scavare, non con dei corpi da seppellire, non con una vecchia da consolare.
Giunto sul treno, dopo un tempo indefinibile, si ricordò per la prima volta della sua ragazza. Si ricordò del bacio prima della partenza, delle mani sui cuori, della promessa di comprarsi una casa per vivere insieme. Sembrava essere successo tutto in un'altra vita. L'avrebbe voluto anche dopo il fallimento? L'avrebbe accettato, nonostante il volto cambiato dalla morte?
Una volta arrivato al paese d'origine, nel pacifico nord Italia, in pochi lo aspettavano: solo i genitori e lei, più piccola ed insignificante di quanto ricordasse. Il padre lo abbracciò, la madre in lacrime lo chiamò “il suo bambino”, mentre la sua fidanzata gli si appese letteralmente al suo collo, baciandolo sulle labbra, che rimasero stranamente inerti.
Lei si accorse immediatamente che qualcosa era cambiato. Era ancora il suo amato quello che era tornato dalla guerra? Cosa era successo per averlo stravolto in quel modo?
Il giorno seguente i due si trovarono sotto casa della diciottenne, come erano soliti fare. Non fu lui a chiedere di uscire, anzi, se lei non lo avesse pregato, lui non si sarebbe di certo presentato.
_Cosa è successo in questi mesi?
_Tante cose.
_Mi sei mancato.
_Grazie.
Nulla in lui era sopravvissuto all'esplosione di qualche giorno addietro. Anche ora, mentre parlava con quella che era la sua fidanzata, vedeva alle spalle della giovane una vecchia con la bocca grande come una caverna, urlante di disperazione con in braccio il nipote coperto di sangue.
L'ex soldato non stava per niente bene, sentiva di avere la febbre. Lei, dal canto suo, aveva il cuore a pezzi per le risposte del fidanzato. Perché non le parlava più come un tempo? Perché ignorava il suo amore? Dopo un breve colloquio di venti minuti, i due si separarono, rimanendo d'accordo che si sarebbero rivisti quando lui fosse stato meglio.
Non si videro per due settimane. In quel lasso di tempo il giovane non dormì per più di quattro ore a notte. Durante i brevi periodi di sonno, sentiva ancora l'esplosione che aveva fatto tremare la terra, vedeva la caverna della vecchia, il ragazzo senza gambe, il suo vomito. Mentre era sveglio, pensava alla fidanzata. La voleva ancora? Lei, in fondo, era sempre quella di prima. Ma lui? Cosa era diventato? Perché aveva perso interesse per la sua amata? Lui ormai era l'ombra di se stesso: si sentiva uno scarto della società; un inetto. Non era più adatto per lei; come lei non era più adatta per lui. Come avrebbe potuto capirlo quella ragazza, dal momento che non aveva mai visto la vecchia urlante? Come avrebbe potuto capirlo chiunque altro in quel paese, dopo quello che aveva passato?
Quando si rividero dopo due settimane, lei scese le scale lentamente, a testa bassa. Non lo abbracciò, non le sembrava il caso di farlo; ormai era trascorsa una vita intera dall'ultima volta che si erano visti. Nemmeno lui alzava lo sguardo, e anche se lo avesse fatto, non avrebbe trovato nulla di quello che gli aveva fatto perdere la testa solo quattro mesi prima.
Rimasero insieme solo mezz'ora, dove un pesante silenzio fece da cornice alle poche frasi che si scambiarono.
_Non sono più quello di prima.
_Perché? Che è successo in guerra?
_Non puoi capire.
_Prova a spiegarmi.
Cosa avrebbe potuto dirle? Lei non aveva visto; lei non avrebbe mai compreso quello a cui si riferiva. Provò comunque a dire ciò che ricordava. Cercò di essere chiaro, ma col tempo il ricordo si era mescolato con gli incubi dettati dalla febbre, e forse ben poco di quel giorno si era preservato come realmente era accaduto.
_C'è stata un'esplosione. Una vecchia, una caverna, un ragazzino senza gambe ed il vuoto. Un vuoto che divora, che non lascia niente. Ci sono stati occhi che poi non c'erano più. Ci sono stati morti; soldati a cui è stata tolta la vita. Fu un massacro, ed io rimasi là, a terra, incapace di rialzarmi.
_Ma ora è passato! Ora sei qua, ci sono io ad aiutarti!
_No. Sapevo che non avresti capito, è normale, non è colpa tua. La guerra distrugge; la guerra spacca tutto, uomini e cose. Lascia macerie di case e di anime. Ho visto una sola costruzione distrutta, e ne ho sentite molte andare in frantumi, in lontananza. Ma ho visto troppe anime cadere a pezzi. Ho visto una donna frantumarsi nella sua caverna, e sono rimasto a terra, da dove non sono stato in grado di rialzarmi, e forse non lo farò mai.
_Cosa significa tutto questo? Cosa stai cercando di dirmi? Che non mi vuoi più? Che non terrai fede alle tue promesse?
Lui non la guardava. Sapeva che lei stava piangendo, ma non riusciva nemmeno a comprendere il perché di tanto dolore. In fondo non c'erano né bombe né cadaveri. Dandole la schiena e tenendo la testa bassa, prima di andarsene rispose per l'ultima volta a quella che era stata la sua ragazza.

_La guerra distrugge tutto. La guerra uccide, e a quanto pare uccide anche ciò che sembrava immortale. La morte non può mantenere le promesse della vita; la morte può solo concludere le storie, e noi siamo solo un'altra vittima. Non può essere altrimenti, scusa.

domenica 1 marzo 2015