martedì 29 dicembre 2015

DISCORSO IN DIFESA DELL'ARTE

di Gianluca Bissolati



In mezzo al brutto, vedere qualcosa di bello e provare dei sentimenti è la prova di non essere morti. Si muore anche respirando, si sa. Si muore perché non si sogna più, perché non ci si concede il lusso di provare un'emozione positiva; e non ci si concede questo lusso perché non ci si può esporre al rischio di provare il contrario dell'emozione positiva: l'emozione negativa. Vivere nel brutto costringe ad annullare i propri sentimenti – ad accantonarli – perché se li mantenessimo costantemente attivi saremmo in prede al dolore più paralizzante. Non possiamo stare così male, e quindi ci anestetizziamo a ciò che ci circonda. Così facendo però ci si anestetizza anche a ciò che è bello, e così, per non soffrire, non gioiamo, e quindi un po' moriamo.
Accantonare i sentimenti in certi momenti è necessario per andare avanti: non se ne può fare a meno. Ma ogni tanto, regalandoci qualche momento, è giusto che i sentimenti possano tornare a fare capolino nelle nostre vite. Anche per questo esiste l'arte ed una delle tante cose che essa insegna: lo sguardo estetico. Secondo le ultime correnti di pensiero, qualcosa di estetico è ciò che una volta osservato ci pare bello, e ci pare tale perché ha il mirabile pregio di suscitare in noi qualche emozione (ammesso che noi diamo spazio alle emozioni per scatenarsi). In breve: è estetico ciò che ci sembra estetico. È bello ciò che ci sembra bello. Può sembrare banale - anche stupido - ma in realtà è ciò che il romanticismo ci ha rivelato, ed è stata una delle più grandi scoperte (o invenzioni?) degli ultimi trecentocinquant'anni.
Si diceva dello sguardo estetico: esso non è altro che il nostro modo di rapportarci a qualcosa: è lo sguardo che adottiamo di fronte ad un'opera d'arte. Posti di fronte ad un oggetto che è esplicitamente utilizzato per trasmettere un messaggio più grande, scorgiamo in esso ogni possibile appiglio per far sì che in noi si scaturisca un'emozione. L'arte – sempre secondo le ultime correnti di pensiero – è l'istituzione che ci dà un luogo ed un oggetto su cui riversare il nostro sguardo estetico. Ma ciò non significa che quello sguardo, una volta appreso, non possa venire adottato anche nella vita di tutti i giorni.
È questo che dobbiamo fare quando siamo costretti a vivere in mezzo al brutto: osservare opere d'arte – siano esse romanzi, fotografie, dipinti, film – di alta qualità, per potersi abituare a cogliere ogni emozione che esse ci suscitano. Una volta imparato, dobbiamo voltare il nostro sguardo estetico (faticosamente conquistato) sul mondo che ci circonda, di modo da cogliere il bello che – nonostante tutto – sopravvive in mezzo a tutto quel brutto.
Guardiamo una madre che dà un pezzo di pane ad un bambino, ed invece di vedere la povertà del dono, cerchiamo di vedere la grandezza dell'affetto che viene trasmesso. Vediamo un padre che va al lavoro, ed invece di vedere la fatica che si appresta a fare, scorgiamo l'amore per la famiglia che sta mantenendo. Vediamo un murales su un muro, ed invece dell'imbrattamento della città vediamo la forza del messaggio che si trasmette.
Potrei continuare all'infinito.
Non sto assolutamente dicendo che ci si debba scordare del brutto: esso esiste e va affrontato. Ed è proprio perché va affrontato che esso va osservato ed interpretato in un modo diverso. Vedere le cose con “un altro paio di occhiali” apre delle brecce nella realtà immutabile, dando modo di immaginare un'esistenza diversa.
La madre dà del pane ad un bambino: quel pezzo di pane non è molto, ma è tutto quello che ha. Eppure se ne sacrifica per qualcuno a cui tiene moltissimo. Se lei è disposta a fare un sacrificio così grande – ed a farlo a cuor leggero – perché non posso fare qualcosa pure io? Invece di osservare e starmene in disparte, contribuirò a mia volta a quel dono, magari invitando madre e figlio a pranzare con me.
Se il padre va a lavorare in un luogo fatiscente, ma lo fa con amore, posso provare a discutere col titolare del luogo (se lo conosco, naturalmente) e così convincerlo a mettere in regola il capannone che cade a pezzi. In fondo, anche quel datore di lavoro ha qualcuno da amare, no? Con un po' di aiuto potrà immedesimarsi nel suo operaio.
Se un ragazzo usa una bomboletta spray per fare un bel disegno sul muro non lo caccerò in malo modo. Anzi, gli parlerò, e magari gli proporrò di utilizzare la propria arte in un contesto meno illegale, dandogli la possibilità di trasmettere la propria idea a più persone, magari utilizzando internet.
A ben vedere queste sono piccole cose, ma sono piccole cose che possiamo fare tutti, se solo siamo disposti a vedere il bello nel mondo in cui viviamo, e se soprattutto siamo disposti a contagiare chi ci sta attorno con il nostro sguardo estetico.
Il bello può salvarci; il bello può salvare il mondo, perché il bello è accessibile a tutti, se solo si impara a vederlo.
Viviamo nel bello, ricordiamoci che ne siamo degni. O forse, più radicalmente, viviamo il bello, dimostrandoci che ne siamo degni.

mercoledì 23 dicembre 2015

GRANDI OCCHI DA TITANIA

 Lo trovarono in lacrime, vicino all'aeroporto, mentre osservava i dischi volanti che prendevano quota, e lui, disperato e urlante, si lamentava di voler tornare a casa.

Aveva trascorso anni sulla Terra. Aveva passato gran parte della sua vita vivendo esattamente come un normale terrestre. Naturalmente si capiva che non era di queste parti: lo si vedeva dal colore della pelle, dal taglio degli occhi, dalla statura insolitamente bassa; ma nei modi di fare, non aveva nulla di diverso dall'umano medio.
Faceva il pizzaiolo. Un lavoro che gli piaceva; un lavoro che in un primo momento gli aveva dato grandi soddisfazioni: era così bello dare del cibo a chi ne aveva bisogno. Poi, qualcosa era cambiato.
Aveva avuto modo di osservare con più attenzione la società in cui si era catapultato. Aveva capito che molte delle cose che si era immaginato non corrispondevano alla realtà. Aveva capito che il benessere tanto decantato altro non era che una menzogna, una montagna d'immondizia placcata d'oro.
Che sulla Terra ci fosse la crisi lo sapeva già. Non era un mistero che il più della popolazione mondiale vivesse in condizioni di povertà; ma quello che non si immaginava era che la crisi non riguardasse solamente gli aspetti economici della vita.
La crisi riguardava tutto il sistema di valori terrestre, e lui se ne era reso conto troppo tardi.
Aveva deciso di tornare a casa, senza dire niente a nessuno. Dopo ben tredici anni dal suo arrivo sulla Terra, aveva capito che quella non era la vita che desiderava. Ci aveva messo moltissimo tempo per capire, era innegabile, ma si consolò pensando che la maggior parte degli umani viveva nella sua stessa condizione per tutta la vita, eppure non giungeva al suo stesso grado di consapevolezza.
In una piovosa giornata di aprile, in cui le nubi appena rischiarate dal sole coprivano come un triste coperchio la volta celeste ed il vento soffiava come se volesse far volare ogni passante, il buon alieno si era diretto a piedi verso la pensilina dell'autobus più vicina a casa. In pochi lo notarono: il grande impermeabile, gli occhiali da sole e la sciarpa che aveva indossato celavano più che bene i suoi tratti non umani. Aveva viaggiato per circa due ore, sempre con la fronte poggiata al finestrino, guardando la pioggia rigare come lacrime i vetri del veicolo.
Una volta arrivato all'aeroporto aveva contato ancora una volta i soldi che si era portato dietro: settecentotrenta euro, nonché tutti i suoi risparmi. Sapeva che non erano molti, ma sperava che sarebbero bastati per acquistare un biglietto di sola andata per il suo pianeta d'origine.
Speranzoso, e quasi con le lacrime agli occhi, si era messo a fare la fila, attendendo il proprio turno. Ci volle circa mezz'ora, ma finalmente arrivò il suo momento.
“Un biglietto di sola andata per Titania.”
“Sono novecentocinquanta euro, prego.”
“Quanti, scusi?”
“Novecentocinquanta”.
E facendo finta di cercare il portafogli: “Mi scusi, devo aver lasciato il portafogli in macchina. Torno tra cinque minuti.”
Stavolta le lacrime avevano invaso per davvero i grandi occhi dell'alieno. Era uscito con passo svelto dall'aeroporto, e si era seduto stringendo le gambe al petto, mentre la testa poggiava sconsolata sulle ginocchia, non curante della pioggia.
Non sarebbe mai tornato a casa. Come poteva riuscirci? Ci aveva messo quasi un anno per mettere da parte quel poco che aveva risparmiato, e lo aveva fatto rinunciando a qualche pasto. Era arrivato allo stremo delle forze per comprarsi un biglietto per tornare a casa, ed ora, a pochi passi dall'astronave diretta a Titania, il suo sogno si era infranto sul dolce sorriso di una cassiera.
Nel frattempo, non vedendolo al lavoro, gli amici provarono ripetutamente a chiamarlo. Dove si era cacciato quel nanerottolo dalla pelle rossa? Lo cercarono a casa, ma non lo trovarono; lo cercarono al bar, ma neppure lì si vedeva. Allora ricordarono. Gli strani discorsi dell'alieno tornarono alla mente degli amici: diceva che si sentiva giù di morale, che da un po' di tempo non riusciva a sentirsi a casa da nessuna parte, diceva che voleva tornare sul suo pianeta, deve si stava peggio, ma in fondo era tanto meglio.
Senza perdere tempo, i due terrestri presero il pullman diretto all'aeroporto, spendendo i pochi soldi che avevano per comprarsi un biglietto a testa. Una volta giunti a destinazione si precipitarono all'interno dell'edificio, e senza fare la coda per i biglietti si lanciarono da una delle cassiere, chiedendole se avesse visto un alieno basso, dalla pelle rossa, con grandi occhi neri. La ragazza dal dolce sorriso disse di averlo visto; che il piccoletto voleva un biglietto per Titania, ma sembrava essersi dimenticato il portafogli in macchina, quindi era andato a prenderlo, senza però fare ritorno.
I due amici tirarono un sospiro di sollievo: questo stava ad indicare che colui che cercavano era ancora sulla Terra e stava bene!
Guardarono in ogni dove per tutto l'aeroporto. Guardarono nei bagni, nei ristoranti, persino sotto alle poltrone, ma dell'amico non c'era traccia. Sconfortati uscirono all'aperto, senza nemmeno coprirsi il capo dalla pioggia battente, e facendo qualche passo attorno alla recinzione che delimitava il terreno delle piste di rullaggio, sentirono delle grida sommesse e strazianti. Erano del loro amico dalla pelle rossa.
Lo trovarono in lacrime, vicino all'aeroporto, mentre osservava i dischi volanti che prendevano quota, e lui, disperato e urlante, si lamentava di voler tornare a casa.
_Che ci fai qui? Perché piangi? Perché non ci hai detto nulla?
_Voglio tornare a casa. Ve lo avevo detto, mi manca Titania.
_Ma perché? Così, di punto in bianco. Che ha la Terra che non va?
_La Terra è stupenda, anche in un giorno di pioggia. È il modo in cui ci si vive che non va. L'ho capito solo ora, ma è meglio tardi che mai.
_Perché? Parla, confidati con noi.
Il piccolo alieno rosso, sollevando la testa per la prima volta, guardò tra le lacrime gli amici, e si decise a parlare.
_Non offendetevi, ma voi umani siete stupidi. Ed io, che ho vissuto con voi per così tanto tempo, sono stato altrettanto stupido. Ma ora ho capito: ora ho capito l'inganno che si cela dietro a questo finto mondo dorato. Ora voglio tornare a casa.
_Siamo stupidi? C'è un inganno? Ma di che stai parlando?
_Venendo da un altro mondo ho potuto vedere la differenza tra la mia gente e la maggior parte di voi umani. Inizialmente mi sono lasciato trascinare dal nuovo stile di vita, ma poi ho ricordato casa mia, e allora ho capito che qui sulla Terra non fate altro che vivere in catene. Siete incatenati dal futile desiderio, e se siete poveri, anzi, se siamo poveri, anche dalla necessità.
Facendo una breve pausa per “tirare su” col naso ed asciugarsi le lacrime, l'alieno invitò gli amici a sedersi vicino a lui. I due, senza farselo ripetere, si accosciarono accanto all'omino dai grandi occhi color della notte, il quale riprese a parlare.
_La necessità non è una colpa. Se non si hanno i soldi per vivere è normale restare incatenati dai bisogni più elementari. Si ha fame, si ha sete, si devono istruire i figli, e per questo servono soldi, che se mancano, causano tanti pensieri. Ma per le catene del futile desiderio siamo tutti colpevoli. Quante volte ho sentito gente desiderare una macchina più bella, una casa più grande, del cibo migliore. Quante volte ho visto dei bambini fare i capricci per qualcosa che non era necessario. Ci consumiamo sognando di avere quello che non potremo mai permetterci - e si incomincia a farlo fin da piccoli – e così facendo non ci godiamo quello che abbiamo. Si tende a volere sempre di più, ad ogni costo, e per ottenerlo alcuni umani non esitano ad abbandonare ogni scrupolo. C'è gente in questo mondo che spende milioni di euro per una casa, mentre voi, amici miei, ed io, un povero alieno, facciamo fatica a pagare l'affitto. C'è gente che si compra macchine da trecentomila euro, e noi giriamo sui pullman. Ma quello che è peggio, è che molto spesso l'uomo medio sogna di vivere come quelli che sprecano denaro senza ritegno, non rendendosi nemmeno conto del proprio stupido desiderio.
Ancora una volta le lacrime ruppero la voce dell'alieno, e ancora una volta, gli amici non aprirono bocca, aspettando che l'amico continuasse il suo discorso.
_La Terra ci dà tutto, ma non ce lo facciamo bastare. In un mondo dalle risorse finite, è inevitabile che chi tiene per sé più del necessario non faccia altro che sottrarlo ad altri, creando degli squilibri. E noi, che abbiamo solo lo stretto necessario per vivere, guardiamo a quelli che hanno tutto e proviamo invidia nei loro confronti, perché loro si possono permettere ciò che noi nemmeno osiamo immaginare. Io capisco il desiderio di una vita dignitosa, ma quando desideriamo lo stile di vita di coloro che abitano nel lusso, allora senza rendercene conto non facciamo altro che legittimare un sistema iniquo, perché anche noi saremmo disposti a tenere più del necessario, a diventare avidi senza cuore, diventando a nostra volta detrattori di altre persone.
Gli amici, sentendo queste parole, abbassarono il capo, forse in lacrime, forse solo per pensare, e poggiarono una mano sulle spalle dell'alieno, come per volergli fare coraggio.
_Io piango. Piango perché la maggior parte della gente non riesce a capire che non dovrebbe essere ciò che si possiede a dare soddisfazione, ma dovrebbe soddisfare ciò che si riesce a diventare. Non dovrebbe essere la ricchezza a fare la differenza, ma dovrebbero essere le cose più semplici: i piccoli successi personali, la soddisfazione che provo nel fare qualcosa, gli amici con cui posso parlare, le cose che ho imparato leggendo un libro. Questo dà la vera felicità, perché è con questo che si conquistano davvero le cose, non col denaro. Il denaro può servire per i bisogni elementari, una volta soddisfatti quelli, diventa inutile. Invece in sto mondo di merda ci si incaponisce per diventare ricchi, rimanendo dal punto di vista personale degli esseri orrendi. Per questo voglio tornare a casa, per questo mi manca Titania, pianeta anch'esso vittima delle dinamiche della Terra.
_Cosa c'entra Titania? Perché è vittima?_ chiesero quasi in coro i due amici.
_Non capite? Succede lo stesso che accade con i ricchi e i poveri. Gli abitanti della Terra per soddisfare i loro futili desideri tolgono risorse agli altri pianeti, che non hanno più nulla di cui vivere. Noi ci mangiamo schifezze da mattina a sera, e su Titania non c'è nemmeno una razione di riso pro capite al giorno. Noi compriamo l'acqua al supermercato, e su Titania la gente si fa chilometri a piedi per raccoglierla in secchi da una pozzanghera. Sulla Terra si fa una vita stupida. Per questo voglio tornare dove non c'è nulla, perché almeno là sarò schiavo della sola necessità. Qua invece dovrò guardarmi costantemente dal rischio di non diventare come un terrestre medio: schiavo di necessità e di futili desideri. In fondo, si sta meglio dove i soldi nemmeno esistono, perché tutto quello che c'è lo si può avere subito, anche se poco, e non si è costretti ad osservare da mane a sera qualcosa che ci manca, senza mai avere la possibilità di averlo. Ed io, che anche cerco di preservarmi immune dal futile desiderio, vivo costantemente con la rabbia, perché vedo tutto questo senza poter far nulla. Per questo, amici, piango e voglio tornare a casa. Per questo.
Gli amici ascoltarono, d'accordo su tutto quanto detto dall'amico. Su tutto, tranne che una cosa. Guardandosi in viso e capendosi senza aprir bocca, i due umani risposero a turno al piccolo alieno.
_Non è vero che non puoi far nulla._ Disse uno.
_Puoi parlare, come hai fatto con noi. Piano piano, tutti insieme, si può far molto._ Concluse l'altro.
E prendendo per mano l'omino dai grandi occhi neri, si diressero verso il pullman per tornare a casa, costatando che la pioggia, nel frattempo, scendeva meno forte.

sabato 12 dicembre 2015

DOLCE VORTICE

di Alessandra Gualano

E permane entro me
nelle fragili stanze
Colme d'infinito
quell'antica sensazione
Come miele viscoso
avvolge le dita
Così essa circonda
l'anima
in un dolce abbraccio
Come fosse un vecchio amante.

martedì 8 dicembre 2015

SCOPERTE

di Gianluca Bissolati

Più del dovuto
in quel pozzo ho guardato.
Vi ho visto un uomo
le cui grida sentivo,
ma di cui mai il viso avevo visto.
Non ho smosso lo sguardo,
ed ora,
ci teniam compagnia
alzando entrambi gli occhi.

lunedì 7 dicembre 2015

MEMORIALE

di Juliao Vanazzi

Ciao vecchio mio
E addio
Ti dedico solo ora il mio saluto
Forse prima avevo paura
L'ho temuto
Salutare è sempre la fine
Accettare
Vedere
Realizzare
Che quell'ultimo saluto
Una stretta di mano
Sarà davvero l'ultimo
Perché dopo
Tra il pregare
E il pianto amaro
Resta solo un affogare
In un vuoto dove prima
Dove prima c'era un caro.
E non serve
Un'incisione
Una pietra
E qualche abbraccio
E il ricordo
Dolorosa consolazione
È la mia piaga
Il mio rimorso
La mia lacrima
Una reliquia.

martedì 1 dicembre 2015

NON SEMBRA CAMBIATO NIENTE

di Marco Ognibene

Non sembra cambiato niente.
Le stelle sempre fisse,
gli ulivi appesi alla collina,
il libro di Eugenio
sulla mia scrivania.

E pure tu,
mia dolce musa,
sempre qui con me
a far brillare
il mio fuligginoso cuore.

Ho tentato vano
di attraversare
il mare della dimenticanza,
il fiume dell'obliare,
il gioco difficile di dimenticare.

Tutto è stato inutile,
non te ne vai,
non c'è verso,
non c'è allitterazione più forte
che tu,
nella mia testa.

Tace il cuore
di fronte ad altre fate.
Non c'è battito più appassito
di quello senza te.

Nonostante le perdute delusioni
vedo il sole
muoversi rapido e scandito,
mentre fumo la mia ultima cicca,
sul balcone dei ricordi.

lunedì 30 novembre 2015

SENZA SOGGETTO

di Gianluca Bissolati

Banalità
descriver le tue labbra;
ancor di più
parlare dei tuoi occhi.
Infimo
figurarti angelo;
ingenuità
definirti Dea.
Ti basti,
e so che può bastare,
la fiducia mia
nella bellezza tua
che in eterno scorgerò,
senza mai per essa
trovar voce
se non "Amore".

lunedì 9 novembre 2015

IL MERITO PIU' GRANDE

di Marco Ognibene

Amara l’esistenza
Dolce la morte.

Brillerà la stella della vita
Nella nebbia di tutti i giorni.

Teratogenesi il mio amore,
Mai luce fu così fioca.

Il merito più grande
Lo sperare di trovarti.

Chi tu sia nessuno lo sa.
Dove sei? Nessuno lo sa

Che lingua parli?
Solo quella dei miei occhi.

Hai mai guardato milioni di stelle?
A me ne basta una.

Ho perso tutto una volta.
Ora non voglio perdere niente.

giovedì 5 novembre 2015

CUORI

di Marco Ognibene

Tutti a navigare,
con vento in poppa
nella via del dolore.
Io,
Mio padre, mia madre,
L’omosessuale con la barba,
Tu.
Non c’è essere su questa terra
In grado di esistere
Senza avere dentro quel nodo,
Quel blocco
Quell’ombra di malinconia,
Di tristezza, di nostalgia.
Tutti insieme, anime parallele,
Su questo bucolico cammino,
Tumefazione di cuori.
Chissà se un giorno riusciremo
A lasciarci stare.
Non so se starnutire o piangere…


lunedì 2 novembre 2015

COMUNE

di Marco Ognibene

Ora
abbiamo qualcosa
in comune…

ne io
ne tu
vogliamo stare
vicini

venerdì 30 ottobre 2015

MEA CULPA

di Gianluca Bissolati

Scusa,
capisco il male che ti ho fatto
e so che non ho nulla
che tu debba rimpiangere.

Ma almeno un'ora
vorrei parlarti insieme
per toglier dal tuo cuore
quel male che ti ho fatto.

Non voglio il tuo perdono
ma voglio che capisca
che io non sono
il demone che credi.

Vorrei che mi ascoltassi
per dirti i miei motivi
che mi hanno indotto a farti
quel male che ti ho fatto.


mercoledì 28 ottobre 2015

PERDONO

di Juliao Vanazzi

Scusa
Per ciò che sono
Per ciò che ero
Per ciò che sarò
Del tuo respiro
Che ho rubato
Come un ladro
Un furto d’amore
Assassino nella guerra dei sentimenti
Traditore bastardo
Chiedo perdono
Mi sono beato di me
E così giocato di te
E non una volta
Ma ogni momento che il demone desiderava
Non controllandolo
Nutrendolo
Facendoti morire
mio angelo
ti chiedo di perdonarmi
non per ciò che ho fatto
abominevole!
Né per ciò che sono
Immutabile
Ma per ciò che ancora voglio
Oscuro
Ma a cui non riesco
Ne desidero
Sottrarmi

mercoledì 21 ottobre 2015

UN GIORNO...

di Marco Ognibene

Un giorno troverai un uomo che ti amerà
Ma non ti amerà quanto ti ho amata io.
Non sarà alla mia altezza,
Non avrà gli occhi verdi.
Non scriverà poesie per te,
E di poesia non parlerà nemmeno,
Però ti amerà

Ma non ti amerà quanto ti ho amata io.
Da lui ti lascerai toccare,
A lui racconterai tutti i tuoi problemi,
Lo farai entrare nella tua vita,

Anche se non ti amerà quanto ti ho amata io.
A lui farai regali e preparerai cene,
Lui farà lo stesso per te,
Lui comunque ti amerà
E forse la tua vita non ti sembrerà così vuota
E finalmente potrai dire che adesso
Senti qualcosa per qualcuno.

Un giorno troverai un uomo che ti amerà
Ma non ti amerà quanto ti ho amata io,
Forse l'hai già trovato in qualche bar
O in qualche cesso di discoteca
O chissà dove.


venerdì 25 settembre 2015

LA BANDA DEL CORTILE: GIORNO LAVORATIVO

di Gianluca Bissolati


 Una volta giunto al ristorante, parcheggio sempre sotto il vecchio fico; dal momento che dopo il colloquio non è più capitato nulla di spiacevole con gli uccelli, ho deciso di continuare a sfruttare la sua ombra.
Scendo dalla mia Panda e accendo come di consueto la sigaretta pre-lavorativa e mi dico che se oggi lavoro bene, lunedì con Niky e Giova, andrò a farmi una giornata in piscina. È da tanto tempo che non ci vado e forse non ci andrò neanche stavolta, per un motivo o per un altro, ma me lo ripeto comunque pure oggi, giusto per trovare uno stimolo e iniziare a lavorare con un briciolo di voglia in più.
 Guardando il parcheggio, vedo che sono il primo tra i camerieri ad essere arrivato. Per ora c’è solo il Kangoo grigio di Piero. Infatti sono arrivato con un quarto d’ora d’anticipo, deve essere arrivato da poco pure il Boss.
 Entro e saluto, ma non vedo nessuno. Dalla cucina, dietro al bancone, arrivano dei rumori e capisco che la cuoca sta già armeggiando con le padelle. È una donna di mezza età con i capelli lunghi fino alle spalle e l’aria simpatica.
 “Salve Carla.”
 “Ciao Max “ mi urla dalla cucina “sei in anticipo.”
 “Sì, lo so, non avevo nulla da fare a casa.”
 In realtà le cose da fare ci sono sempre a casa mia, ma mi ero stufato di sentire mia madre e mio padre che continuavano a ripetermi come era meglio fare il cameriere. Per carità, lo fanno per aiutarmi, però dopo due ore erano diventati un po’ pesanti.
 “Ah, bravo allora, trovato traffico?”
 “No, deserto. Dov’è Piero?”
 “È sul retro, starà prendendo le birre da mettere in frigorifero, non saprei.”
 “Va beh, vado a mettere giù la felpa e lo cerco.”
 Vado sul retro del ristorante. Vicino al bagno del personale c’è lo sgabuzzino ed è li che appendo la felpa, su un attaccapanni mezzo storto. Mentre esco, sento Piero che impreca contro la legna.

 Perché cazzo bestemmia contro la legna?

Giro l’angolo e vedo che cerca con uno sforzo titanico di sollevare una cassetta stracolma di ciocchi per il forno. Rimango fermo a guardarlo aspettando che sia lui ad accorgersi della mia presenza. È poco più basso di me, sulla sessantina ed ora ha pure una ragnatela di vene che si gonfiano sulla parte destra del collo.

 Vai ad aiutarlo, non vedi che tra un po’ schiatta?
 Tu dici?

Mi avvicino facendo rumore, in modo che si accorga della mia presenza. Non sia mai che lo spaventi involontariamente e gli prenda un infarto.
 “Buonasera, serve una mano?”
 “Ah! Ciao. Ti sembra che mi serve una mano? No. Ce la faccio benissimo da solo però, se proprio vuoi, tu porta la legna, io vado a prendere le birre intanto.”

 Ovviamente. Ce la fai benissimo da solo. Certo.

 “Ok.”
 Prendo la cassetta e Ma quanto cazzo l’hai caricata?! mi avvio verso il forno a legna. Piero da dietro mi urla:
 “Ce la fai?”

 No...

 “Sì sì. Tranquillo.“  
Ma se non mi si spezza la schiena e non mi cade tutto in terra è un miracolo.
 Arrancando, arrivo vicino al grande forno a legna dietro la pizzeria e mi appresto a sistemare i ciocchi. Nel frattempo, Piero arriva dal bancone del bar e mi dice di lasciare perdere quel lavoro, lo avrebbe fatto fare ad un altro più tardi, e di cominciare a preparare i tavoli della sala al piano terra.
 Prendo le tovaglie e le sistemo, prendo i coprimacchia e appoggio pure quelli poi, mentre prendo le posate, arriva il primo degli altri camerieri.
 “Ciao Max.”
 “Ciao.“ Saluto gentilmente.
 Arriva il secondo.
 “’Sera Max.”
 “’Sera.“ Saluto anche lui.
 Arriva pure il terzo.
 “Ehi! Max! Tutto bene?”
 Faccio un cenno con la testa e ‘ok’ con la mano.
 Il quarto.
 “Ciao Max.”
 Ignoro e faccio finta di non aver sentito.
 In mezz’ora la sala è pronta e mi preparo per andare ad aiutare al piano di sopra, ma proprio mentre sto per salire le scale il Boss mi chiama da parte.
 “Lascia stare di sopra, se la cavano da soli. Tu invece vai nello sgabuzzino, apri l’armadio e prendi la camicia bianca e il papillon, che stasera fai tu l’accoglienza.”
 “Io? Sei sicuro?”
   
Prima mi insulti per l’aspetto da teppista che ho, poi mi metti a fare l’accoglienza?

 “Sì, tu. Vai, dai.”
 “Va bene.”

Sei diventato pazzo.

Mi è stato spiegato un po’ cosa devo fare. Nulla in pratica. Chiedo ai clienti se hanno prenotato, se sì, controllo sul registro che tavolo è riservato per loro, se no, li accompagno ad un tavolo libero. Non so bene come si faccia l’accoglienza altrove, ma da noi è una cosa molto alla buona, quindi ce la farò senza problemi.
 Anche se ancora non mi spiego come mai sia stato scelto proprio io per questo ruolo. Ok, sono abbastanza socievole, ma non ho proprio l’aspetto rassicurante, mi tocca ammetterlo. Forse Piero vuole dare una svecchiata all’immagine del locale? Forse cerca di far capire che sono tutti ben accetti nella sua pizzeria?

 Bah, che cazzo me ne frega in fondo? Io sto qua a far nulla e mi pagano pure.
 Prendila come una dimostrazione di fiducia.
 Sì, ma non me la spiego lo stesso.
 E allora che vuoi? Andare a servire ai tavoli? Se preferisci, basta dirlo, Piero ti accontenta.
 No, va benissimo così. Forse mi ha mandato qui perché l’ultima volta ho discusso un po’ con quell’ubriacone.
 Discusso un po’! Gli hai praticamente detto di non rompere i coglioni.
 Sì, ma parafrasando. E poi avevo ragione.
 Parafrasando? Secondo te: ‘Per favore non continui a chiedere alcolici che sta mettendo in imbarazzo la sua famiglia’ è un modo gentile per parlare coi clienti?
 Ma avevo ragione.
 Sì certo.
 E poi mi dà fastidio ‘sto cazzo di papillon!
 Dai, concentrati che c’è gente.
 Oddio! Che cos’è? Una donna o uno scorfano?
 Magari entrambi. È una sirena.
 Ma no cazzo! Mi distruggi un mito!

 “Salve, avete prenotato?”
 “Sì, un tavolo per due” mi dice l’uomo basso e grasso che sta insieme alla Sirena-Scorfano.
 “Nome, prego.”
 “Monicelli.”
 “Perfetto, controllo sul registro.”
 Dando un’occhiata alla lista di nomi che ho di fronte, faccio di tutto per non scoppiare a ridere. Lei è orrenda, ma lui deve essere davvero disperato per essere finito con una del genere.
 Ma quanto sei bastardo?
 “Ok, vi accompagno al tavolo.”
 Andiamo tutti e tre nella sala da pranzo al piano terra; io per primo, la “Sirena-Scorfano” con un’aria altezzosa e arrogante dietro di me e il marito per ultimo, che la segue come un cagnolino.
 Chissà cosa le passa per la mente per avere un’aria così superba mentre si guarda attorno.
Torno al mio banchetto. Sopra il gradino mi sento dietro un pulpito, come un giudice pronto ad emettere la sentenza, o un prete che si accinge a sparare un sermone pieno zeppo di cazzate perbeniste. Ma qua dietro non ho alcun potere, e men che meno la possibilità di essere ascoltato seriamente da qualcuno.

 Mi annoio in mezzo a questa solitudine affollata.
 Va beh, pensa che ti pagano.
 Ma il tempo non passa più, e inizio a spararmi segoni mentali su gente che neanche conosco.
 Vedilo come un passatempo.
  Ok, inizia il ‘gioco dei giudizi avventati e tendenziosi su gente che non conosco per niente’.
 Bello! Gioco pure io. Dai che ne arriva un’altra!
 Allora, di viso non è male, però non ha assolutamente né tette né culo. Il fidanzato invece mi sa di sfigato, ma anche questo pieno di soldi.
 Per me no, è sfigato e pure povero. Altrimenti non si spiegano le Sneakers mezze sfondate.
 Già, forse hai ragione.

 “Salve, prenotato?”
 “Sì, Valvassini.”
 “Va bene, controllo il registro.”

 Hai ragione, ha pure un nome da povero, non è neanche valvassore.
 Oddio! Questa però è grossa come cazzata!
 Colpa della noia.

 “Vi accompagno alla sala di sopra.”
 Li faccio sedere e mi ringraziano e questo mi rende la signorina “Tavola da surf” e “Lo Sfigato” più simpatici; sembrano dei bravi ragazzi in fondo. Sicuramente meglio della “Scorfana”.
 Scendo e torno al mio ‘pulpito’.

 La serata prosegue tranquilla. Man mano che passa il tempo i clienti arrivano con meno frequenza mentre alcuni se ne sono già andati, come ‘Tavola da Surf’ e ‘Sfigato’. Ci ho scambiato quattro chiacchiere e devo dire che sono davvero dei bravi ragazzi, e per di più mi hanno lasciato cinque euro di mancia.
 Sono circa le nove meno un quarto, ormai da dieci minuti non si fa più vivo nessuno ma io, per ordine di Piero, ho l’obbligo di rimanere alla mia postazione almeno fino alle nove e trenta.
 Giusto per fare passare il tempo do un’occhiata al registro. Non manca più nessuno di quelli che hanno prenotato, di conseguenza temo che la mia esperienza all’accoglienza sia terminata.

 E meno male!
 Dai che non è stato così terribile!
 Ok, ma troppo noioso. Sempre le solite conversazioni del cazzo.
 Cosa centra? Anche in fabbrica era noioso, ed era molto peggio.
 Infatti non sto dicendo che preferisco la catena di montaggio all’accoglienza, dico solo che è noioso.
 Sempre a lamentarti.
 Poi, fosse arrivata almeno una bella ragazza! La migliore era ‘Tavola’. Fai tu.
 Non puoi pretendere Miss Italia. Accontentati.

 Le campanelle appese tra le piume dell’acchiappasogni che sta sopra la porta suonano.

 Vediamo che bestia entra stavolta.

Alzo la fronte dal registro e rimango senza parole.
 La ragazza più bella che abbia mai visto, non solo questa sera, ma praticamente in tutta la mia vita è davanti al bancone del bar.

martedì 22 settembre 2015

DEDICATA A CHI NON SA PERDERE TEMPO

di Gianluca Bissolati

Triste, stanotte mi sento,
qualcosa non va, mi dà turbamento.
Eppure sto in forma, almeno nel corpo,
dev'essere altrove quel che mi fa smorto.
Forse è il caldo, o forse è il tempo
che spreco insensato convinto sia tanto.
Ecco: dev'essere quello: dev'essere l'ozio;
il dolce far nulla in cui mi tralascio.
Eppure anche oggi ho fatto qualcosa
ma l'animo è inquieto, non sa darsi posa.
Mi sa che son pazzo, o forse drogato:
mi fermo un minuto e mi trovo agitato.
Ma ora basta, diamoci un taglio,
speriamo soltanto domani sia meglio.

martedì 8 settembre 2015

FU SCRITTO UNA NOTTE

di Gianluca Bissolati

Ove par nulla
vi sia a vedere
è lì che il saggio
nella ricerca indugia.
Celato è il luogo
del grande tesoro
che all'occhio ignaro
povero si mostra.

mercoledì 26 agosto 2015

POI PARLERÒ

di Gianluca Bissolati

Scappo
da volti conosciuti
di cui ora
volentieri faccio a meno.
Poi parlerò.
Il giorno
è ben lontan dall'esser desto
nel corpo
dell'Io dormiente.
Poi,
quando al mondo
offrirò un po' più pazienza,
parlerò.

martedì 25 agosto 2015

MASCHERA E DESIDERIO

di Nicky Mary





 Nuovo disegno da Nicky Mary, “Maschera e desiderio”. Ancora una volta, solo per LogAloud!

venerdì 21 agosto 2015

L'UMANITÀ DELLA LUNA

di Gianluca Bissolati

Ho visto la Luna
in questa notte fresca,
la stessa Luna
che in altre notti
espande il suo chiarore
su uomini lontani.
Chissà che direbbe,
se solo parlasse,
vedendoci in guerra
per un pezzo di Terra
che a tutti appartiene.
Confini,
in forma di alti muri
o solo di statuti,
che stando là in alto,
ov'ella rotea,
nemmeno son visibili.
E quando Essa brilla
ancor illuminata
di fianco al Sol da poco sorto,
già noi ci muoviam stanchi
in un affanno continuo
in una guerra al dominio
fin troppo insensata.
Se solo parlasse,
la Luna e l'altre Stelle,
chissà che direbbe
de' nostri tormenti,
mentre fratelli
ci rifiutiam l'un l'altro.
La Luna sempre sa
cos'è che ci accomuna,
ma in molti soltanto
si affannano a cercare
le poche differenze
che ci tolgon di vista

la comune umanità.

mercoledì 19 agosto 2015

L'OMBRA

di Gianluca Bissolati

Vago
per vie stracolme
in compagnia d'un'ombra.
A volte lei,
fattasi grande,
prende il posto mio,
ed io,
ridotto ad ombra
la seguo nel cammino.
S'incazza, urla,
offende e anche smadonna,
poi fiera dello scherzo
torna al suo piccolo posto,
lasciando me
ad affrontare volti
per vie stracolme.


Mi fa dispetti,
mi mette nei guai,
ma siamo tanto amici
che mai
andar la lascerei.
Con lei,
l'amica ombra,
ho tanto condiviso
da non poterla perdere
senza perdere me stesso.
Quell'ombra

son sempre io.