mercoledì 23 dicembre 2015

GRANDI OCCHI DA TITANIA

 Lo trovarono in lacrime, vicino all'aeroporto, mentre osservava i dischi volanti che prendevano quota, e lui, disperato e urlante, si lamentava di voler tornare a casa.

Aveva trascorso anni sulla Terra. Aveva passato gran parte della sua vita vivendo esattamente come un normale terrestre. Naturalmente si capiva che non era di queste parti: lo si vedeva dal colore della pelle, dal taglio degli occhi, dalla statura insolitamente bassa; ma nei modi di fare, non aveva nulla di diverso dall'umano medio.
Faceva il pizzaiolo. Un lavoro che gli piaceva; un lavoro che in un primo momento gli aveva dato grandi soddisfazioni: era così bello dare del cibo a chi ne aveva bisogno. Poi, qualcosa era cambiato.
Aveva avuto modo di osservare con più attenzione la società in cui si era catapultato. Aveva capito che molte delle cose che si era immaginato non corrispondevano alla realtà. Aveva capito che il benessere tanto decantato altro non era che una menzogna, una montagna d'immondizia placcata d'oro.
Che sulla Terra ci fosse la crisi lo sapeva già. Non era un mistero che il più della popolazione mondiale vivesse in condizioni di povertà; ma quello che non si immaginava era che la crisi non riguardasse solamente gli aspetti economici della vita.
La crisi riguardava tutto il sistema di valori terrestre, e lui se ne era reso conto troppo tardi.
Aveva deciso di tornare a casa, senza dire niente a nessuno. Dopo ben tredici anni dal suo arrivo sulla Terra, aveva capito che quella non era la vita che desiderava. Ci aveva messo moltissimo tempo per capire, era innegabile, ma si consolò pensando che la maggior parte degli umani viveva nella sua stessa condizione per tutta la vita, eppure non giungeva al suo stesso grado di consapevolezza.
In una piovosa giornata di aprile, in cui le nubi appena rischiarate dal sole coprivano come un triste coperchio la volta celeste ed il vento soffiava come se volesse far volare ogni passante, il buon alieno si era diretto a piedi verso la pensilina dell'autobus più vicina a casa. In pochi lo notarono: il grande impermeabile, gli occhiali da sole e la sciarpa che aveva indossato celavano più che bene i suoi tratti non umani. Aveva viaggiato per circa due ore, sempre con la fronte poggiata al finestrino, guardando la pioggia rigare come lacrime i vetri del veicolo.
Una volta arrivato all'aeroporto aveva contato ancora una volta i soldi che si era portato dietro: settecentotrenta euro, nonché tutti i suoi risparmi. Sapeva che non erano molti, ma sperava che sarebbero bastati per acquistare un biglietto di sola andata per il suo pianeta d'origine.
Speranzoso, e quasi con le lacrime agli occhi, si era messo a fare la fila, attendendo il proprio turno. Ci volle circa mezz'ora, ma finalmente arrivò il suo momento.
“Un biglietto di sola andata per Titania.”
“Sono novecentocinquanta euro, prego.”
“Quanti, scusi?”
“Novecentocinquanta”.
E facendo finta di cercare il portafogli: “Mi scusi, devo aver lasciato il portafogli in macchina. Torno tra cinque minuti.”
Stavolta le lacrime avevano invaso per davvero i grandi occhi dell'alieno. Era uscito con passo svelto dall'aeroporto, e si era seduto stringendo le gambe al petto, mentre la testa poggiava sconsolata sulle ginocchia, non curante della pioggia.
Non sarebbe mai tornato a casa. Come poteva riuscirci? Ci aveva messo quasi un anno per mettere da parte quel poco che aveva risparmiato, e lo aveva fatto rinunciando a qualche pasto. Era arrivato allo stremo delle forze per comprarsi un biglietto per tornare a casa, ed ora, a pochi passi dall'astronave diretta a Titania, il suo sogno si era infranto sul dolce sorriso di una cassiera.
Nel frattempo, non vedendolo al lavoro, gli amici provarono ripetutamente a chiamarlo. Dove si era cacciato quel nanerottolo dalla pelle rossa? Lo cercarono a casa, ma non lo trovarono; lo cercarono al bar, ma neppure lì si vedeva. Allora ricordarono. Gli strani discorsi dell'alieno tornarono alla mente degli amici: diceva che si sentiva giù di morale, che da un po' di tempo non riusciva a sentirsi a casa da nessuna parte, diceva che voleva tornare sul suo pianeta, deve si stava peggio, ma in fondo era tanto meglio.
Senza perdere tempo, i due terrestri presero il pullman diretto all'aeroporto, spendendo i pochi soldi che avevano per comprarsi un biglietto a testa. Una volta giunti a destinazione si precipitarono all'interno dell'edificio, e senza fare la coda per i biglietti si lanciarono da una delle cassiere, chiedendole se avesse visto un alieno basso, dalla pelle rossa, con grandi occhi neri. La ragazza dal dolce sorriso disse di averlo visto; che il piccoletto voleva un biglietto per Titania, ma sembrava essersi dimenticato il portafogli in macchina, quindi era andato a prenderlo, senza però fare ritorno.
I due amici tirarono un sospiro di sollievo: questo stava ad indicare che colui che cercavano era ancora sulla Terra e stava bene!
Guardarono in ogni dove per tutto l'aeroporto. Guardarono nei bagni, nei ristoranti, persino sotto alle poltrone, ma dell'amico non c'era traccia. Sconfortati uscirono all'aperto, senza nemmeno coprirsi il capo dalla pioggia battente, e facendo qualche passo attorno alla recinzione che delimitava il terreno delle piste di rullaggio, sentirono delle grida sommesse e strazianti. Erano del loro amico dalla pelle rossa.
Lo trovarono in lacrime, vicino all'aeroporto, mentre osservava i dischi volanti che prendevano quota, e lui, disperato e urlante, si lamentava di voler tornare a casa.
_Che ci fai qui? Perché piangi? Perché non ci hai detto nulla?
_Voglio tornare a casa. Ve lo avevo detto, mi manca Titania.
_Ma perché? Così, di punto in bianco. Che ha la Terra che non va?
_La Terra è stupenda, anche in un giorno di pioggia. È il modo in cui ci si vive che non va. L'ho capito solo ora, ma è meglio tardi che mai.
_Perché? Parla, confidati con noi.
Il piccolo alieno rosso, sollevando la testa per la prima volta, guardò tra le lacrime gli amici, e si decise a parlare.
_Non offendetevi, ma voi umani siete stupidi. Ed io, che ho vissuto con voi per così tanto tempo, sono stato altrettanto stupido. Ma ora ho capito: ora ho capito l'inganno che si cela dietro a questo finto mondo dorato. Ora voglio tornare a casa.
_Siamo stupidi? C'è un inganno? Ma di che stai parlando?
_Venendo da un altro mondo ho potuto vedere la differenza tra la mia gente e la maggior parte di voi umani. Inizialmente mi sono lasciato trascinare dal nuovo stile di vita, ma poi ho ricordato casa mia, e allora ho capito che qui sulla Terra non fate altro che vivere in catene. Siete incatenati dal futile desiderio, e se siete poveri, anzi, se siamo poveri, anche dalla necessità.
Facendo una breve pausa per “tirare su” col naso ed asciugarsi le lacrime, l'alieno invitò gli amici a sedersi vicino a lui. I due, senza farselo ripetere, si accosciarono accanto all'omino dai grandi occhi color della notte, il quale riprese a parlare.
_La necessità non è una colpa. Se non si hanno i soldi per vivere è normale restare incatenati dai bisogni più elementari. Si ha fame, si ha sete, si devono istruire i figli, e per questo servono soldi, che se mancano, causano tanti pensieri. Ma per le catene del futile desiderio siamo tutti colpevoli. Quante volte ho sentito gente desiderare una macchina più bella, una casa più grande, del cibo migliore. Quante volte ho visto dei bambini fare i capricci per qualcosa che non era necessario. Ci consumiamo sognando di avere quello che non potremo mai permetterci - e si incomincia a farlo fin da piccoli – e così facendo non ci godiamo quello che abbiamo. Si tende a volere sempre di più, ad ogni costo, e per ottenerlo alcuni umani non esitano ad abbandonare ogni scrupolo. C'è gente in questo mondo che spende milioni di euro per una casa, mentre voi, amici miei, ed io, un povero alieno, facciamo fatica a pagare l'affitto. C'è gente che si compra macchine da trecentomila euro, e noi giriamo sui pullman. Ma quello che è peggio, è che molto spesso l'uomo medio sogna di vivere come quelli che sprecano denaro senza ritegno, non rendendosi nemmeno conto del proprio stupido desiderio.
Ancora una volta le lacrime ruppero la voce dell'alieno, e ancora una volta, gli amici non aprirono bocca, aspettando che l'amico continuasse il suo discorso.
_La Terra ci dà tutto, ma non ce lo facciamo bastare. In un mondo dalle risorse finite, è inevitabile che chi tiene per sé più del necessario non faccia altro che sottrarlo ad altri, creando degli squilibri. E noi, che abbiamo solo lo stretto necessario per vivere, guardiamo a quelli che hanno tutto e proviamo invidia nei loro confronti, perché loro si possono permettere ciò che noi nemmeno osiamo immaginare. Io capisco il desiderio di una vita dignitosa, ma quando desideriamo lo stile di vita di coloro che abitano nel lusso, allora senza rendercene conto non facciamo altro che legittimare un sistema iniquo, perché anche noi saremmo disposti a tenere più del necessario, a diventare avidi senza cuore, diventando a nostra volta detrattori di altre persone.
Gli amici, sentendo queste parole, abbassarono il capo, forse in lacrime, forse solo per pensare, e poggiarono una mano sulle spalle dell'alieno, come per volergli fare coraggio.
_Io piango. Piango perché la maggior parte della gente non riesce a capire che non dovrebbe essere ciò che si possiede a dare soddisfazione, ma dovrebbe soddisfare ciò che si riesce a diventare. Non dovrebbe essere la ricchezza a fare la differenza, ma dovrebbero essere le cose più semplici: i piccoli successi personali, la soddisfazione che provo nel fare qualcosa, gli amici con cui posso parlare, le cose che ho imparato leggendo un libro. Questo dà la vera felicità, perché è con questo che si conquistano davvero le cose, non col denaro. Il denaro può servire per i bisogni elementari, una volta soddisfatti quelli, diventa inutile. Invece in sto mondo di merda ci si incaponisce per diventare ricchi, rimanendo dal punto di vista personale degli esseri orrendi. Per questo voglio tornare a casa, per questo mi manca Titania, pianeta anch'esso vittima delle dinamiche della Terra.
_Cosa c'entra Titania? Perché è vittima?_ chiesero quasi in coro i due amici.
_Non capite? Succede lo stesso che accade con i ricchi e i poveri. Gli abitanti della Terra per soddisfare i loro futili desideri tolgono risorse agli altri pianeti, che non hanno più nulla di cui vivere. Noi ci mangiamo schifezze da mattina a sera, e su Titania non c'è nemmeno una razione di riso pro capite al giorno. Noi compriamo l'acqua al supermercato, e su Titania la gente si fa chilometri a piedi per raccoglierla in secchi da una pozzanghera. Sulla Terra si fa una vita stupida. Per questo voglio tornare dove non c'è nulla, perché almeno là sarò schiavo della sola necessità. Qua invece dovrò guardarmi costantemente dal rischio di non diventare come un terrestre medio: schiavo di necessità e di futili desideri. In fondo, si sta meglio dove i soldi nemmeno esistono, perché tutto quello che c'è lo si può avere subito, anche se poco, e non si è costretti ad osservare da mane a sera qualcosa che ci manca, senza mai avere la possibilità di averlo. Ed io, che anche cerco di preservarmi immune dal futile desiderio, vivo costantemente con la rabbia, perché vedo tutto questo senza poter far nulla. Per questo, amici, piango e voglio tornare a casa. Per questo.
Gli amici ascoltarono, d'accordo su tutto quanto detto dall'amico. Su tutto, tranne che una cosa. Guardandosi in viso e capendosi senza aprir bocca, i due umani risposero a turno al piccolo alieno.
_Non è vero che non puoi far nulla._ Disse uno.
_Puoi parlare, come hai fatto con noi. Piano piano, tutti insieme, si può far molto._ Concluse l'altro.
E prendendo per mano l'omino dai grandi occhi neri, si diressero verso il pullman per tornare a casa, costatando che la pioggia, nel frattempo, scendeva meno forte.

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