Lo
trovarono in lacrime, vicino all'aeroporto, mentre osservava i dischi
volanti che prendevano quota, e lui, disperato e urlante, si
lamentava di voler tornare a casa.
Aveva
trascorso anni sulla Terra. Aveva passato gran parte della sua vita
vivendo esattamente come un normale terrestre. Naturalmente si capiva
che non era di queste parti: lo si vedeva dal colore della pelle, dal
taglio degli occhi, dalla statura insolitamente bassa; ma nei modi di
fare, non aveva nulla di diverso dall'umano medio.
Faceva
il pizzaiolo. Un lavoro che gli piaceva; un lavoro che in un primo
momento gli aveva dato grandi soddisfazioni: era così bello dare del
cibo a chi ne aveva bisogno. Poi, qualcosa era cambiato.
Aveva
avuto modo di osservare con più attenzione la società in cui si era
catapultato. Aveva capito che molte delle cose che si era immaginato
non corrispondevano alla realtà. Aveva capito che il benessere tanto
decantato altro non era che una menzogna, una montagna d'immondizia
placcata d'oro.
Che
sulla Terra ci fosse la crisi lo sapeva già. Non era un mistero che
il più della popolazione mondiale vivesse in condizioni di povertà;
ma quello che non si immaginava era che la crisi non riguardasse
solamente gli aspetti economici della vita.
La
crisi riguardava tutto il sistema di valori terrestre, e lui se ne
era reso conto troppo tardi.
Aveva
deciso di tornare a casa, senza dire niente a nessuno. Dopo ben
tredici anni dal suo arrivo sulla Terra, aveva capito che quella non
era la vita che desiderava. Ci aveva messo moltissimo tempo per
capire, era innegabile, ma si consolò pensando che la maggior parte
degli umani viveva nella sua stessa condizione per tutta la vita,
eppure non giungeva al suo stesso grado di consapevolezza.
In
una piovosa giornata di aprile, in cui le nubi appena rischiarate dal
sole coprivano come un triste coperchio la volta celeste ed il vento
soffiava come se volesse far volare ogni passante, il buon alieno si
era diretto a piedi verso la pensilina dell'autobus più vicina a
casa. In pochi lo notarono: il grande impermeabile, gli occhiali da
sole e la sciarpa che aveva indossato celavano più che bene i suoi
tratti non umani. Aveva viaggiato per circa due ore, sempre con la
fronte poggiata al finestrino, guardando la pioggia rigare come
lacrime i vetri del veicolo.
Una
volta arrivato all'aeroporto aveva contato ancora una volta i soldi
che si era portato dietro: settecentotrenta euro, nonché tutti i
suoi risparmi. Sapeva che non erano molti, ma sperava che sarebbero
bastati per acquistare un biglietto di sola andata per il suo pianeta
d'origine.
Speranzoso,
e quasi con le lacrime agli occhi, si era messo a fare la fila,
attendendo il proprio turno. Ci volle circa mezz'ora, ma finalmente
arrivò il suo momento.
“Un
biglietto di sola andata per Titania.”
“Sono
novecentocinquanta euro, prego.”
“Quanti,
scusi?”
“Novecentocinquanta”.
E
facendo finta di cercare il portafogli: “Mi scusi, devo aver
lasciato il portafogli in macchina. Torno tra cinque minuti.”
Stavolta
le lacrime avevano invaso per davvero i grandi occhi dell'alieno. Era
uscito con passo svelto dall'aeroporto, e si era seduto stringendo le
gambe al petto, mentre la testa poggiava sconsolata sulle ginocchia,
non curante della pioggia.
Non
sarebbe mai tornato a casa. Come poteva riuscirci? Ci aveva messo
quasi un anno per mettere da parte quel poco che aveva risparmiato, e
lo aveva fatto rinunciando a qualche pasto. Era arrivato allo stremo
delle forze per comprarsi un biglietto per tornare a casa, ed ora, a
pochi passi dall'astronave diretta a Titania, il suo sogno si era
infranto sul dolce sorriso di una cassiera.
Nel
frattempo, non vedendolo al lavoro, gli amici provarono ripetutamente
a chiamarlo. Dove si era cacciato quel nanerottolo dalla pelle rossa?
Lo cercarono a casa, ma non lo trovarono; lo cercarono al bar, ma
neppure lì si vedeva. Allora ricordarono. Gli strani discorsi
dell'alieno tornarono alla mente degli amici: diceva che si sentiva
giù di morale, che da un po' di tempo non riusciva a sentirsi a casa
da nessuna parte, diceva che voleva tornare sul suo pianeta, deve si
stava peggio, ma in fondo era tanto meglio.
Senza
perdere tempo, i due terrestri presero il pullman diretto
all'aeroporto, spendendo i pochi soldi che avevano per comprarsi un
biglietto a testa. Una volta giunti a destinazione si precipitarono
all'interno dell'edificio, e senza fare la coda per i biglietti si
lanciarono da una delle cassiere, chiedendole se avesse visto un
alieno basso, dalla pelle rossa, con grandi occhi neri. La ragazza
dal dolce sorriso disse di averlo visto; che il piccoletto voleva un
biglietto per Titania, ma sembrava essersi dimenticato il portafogli
in macchina, quindi era andato a prenderlo, senza però fare ritorno.
I
due amici tirarono un sospiro di sollievo: questo stava ad indicare
che colui che cercavano era ancora sulla Terra e stava bene!
Guardarono
in ogni dove per tutto l'aeroporto. Guardarono nei bagni, nei
ristoranti, persino sotto alle poltrone, ma dell'amico non c'era
traccia. Sconfortati uscirono all'aperto, senza nemmeno coprirsi il
capo dalla pioggia battente, e facendo qualche passo attorno alla
recinzione che delimitava il terreno delle piste di rullaggio,
sentirono delle grida sommesse e strazianti. Erano del loro amico
dalla pelle rossa.
Lo
trovarono in lacrime, vicino all'aeroporto, mentre osservava i dischi
volanti che prendevano quota, e lui, disperato e urlante, si
lamentava di voler tornare a casa.
_Che
ci fai qui? Perché piangi? Perché non ci hai detto nulla?
_Voglio
tornare a casa. Ve lo avevo detto, mi manca Titania.
_Ma
perché? Così, di punto in bianco. Che ha la Terra che non va?
_La
Terra è stupenda, anche in un giorno di pioggia. È il modo in cui
ci si vive che non va. L'ho capito solo ora, ma è meglio tardi che
mai.
_Perché?
Parla, confidati con noi.
Il
piccolo alieno rosso, sollevando la testa per la prima volta, guardò
tra le lacrime gli amici, e si decise a parlare.
_Non
offendetevi, ma voi umani siete stupidi. Ed io, che ho vissuto con
voi per così tanto tempo, sono stato altrettanto stupido. Ma ora ho
capito: ora ho capito l'inganno che si cela dietro a questo finto
mondo dorato. Ora voglio tornare a casa.
_Siamo
stupidi? C'è un inganno? Ma di che stai parlando?
_Venendo
da un altro mondo ho potuto vedere la differenza tra la mia gente e
la maggior parte di voi umani. Inizialmente mi sono lasciato
trascinare dal nuovo stile di vita, ma poi ho ricordato casa mia, e
allora ho capito che qui sulla Terra non fate altro che vivere in
catene. Siete incatenati dal futile desiderio, e se siete poveri,
anzi, se siamo poveri, anche
dalla necessità.
Facendo
una breve pausa per “tirare su” col naso ed asciugarsi le
lacrime, l'alieno invitò gli amici a sedersi vicino a lui. I due,
senza farselo ripetere, si accosciarono accanto all'omino dai grandi
occhi color della notte, il quale riprese a parlare.
_La
necessità non è una colpa. Se non si hanno i soldi per vivere è
normale restare incatenati dai bisogni più elementari. Si ha fame,
si ha sete, si devono istruire i figli, e per questo servono soldi,
che se mancano, causano tanti pensieri. Ma per le catene del futile
desiderio siamo tutti colpevoli. Quante volte ho sentito gente
desiderare una macchina più bella, una casa più grande, del cibo
migliore. Quante volte ho visto dei bambini fare i capricci per
qualcosa che non era necessario. Ci consumiamo sognando di avere
quello che non potremo mai permetterci - e si incomincia a farlo fin
da piccoli – e così facendo non ci godiamo quello che abbiamo. Si
tende a volere sempre di più, ad ogni costo, e per ottenerlo alcuni
umani non esitano ad abbandonare ogni scrupolo. C'è gente in questo
mondo che spende milioni di euro per una casa, mentre voi, amici
miei, ed io, un povero alieno, facciamo fatica a pagare l'affitto.
C'è gente che si compra macchine da trecentomila euro, e noi giriamo
sui pullman. Ma quello che è peggio, è che molto spesso l'uomo
medio sogna di vivere come quelli che sprecano denaro senza ritegno,
non rendendosi nemmeno conto del proprio stupido desiderio.
Ancora
una volta le lacrime ruppero la voce dell'alieno, e ancora una volta,
gli amici non aprirono bocca, aspettando che l'amico continuasse il
suo discorso.
_La
Terra ci dà tutto, ma non ce lo facciamo bastare. In un mondo dalle
risorse finite, è inevitabile che chi tiene per sé più del
necessario non faccia altro che sottrarlo ad altri, creando degli
squilibri. E noi, che abbiamo solo lo stretto necessario per vivere,
guardiamo a quelli che hanno tutto e proviamo invidia nei loro
confronti, perché loro si possono permettere ciò che noi nemmeno
osiamo immaginare. Io capisco il desiderio di una vita dignitosa, ma
quando desideriamo lo stile di vita di coloro che abitano nel lusso,
allora senza rendercene conto non facciamo altro che legittimare un
sistema iniquo, perché anche noi saremmo disposti a tenere più del
necessario, a diventare avidi senza cuore, diventando a nostra volta
detrattori di altre persone.
Gli
amici, sentendo queste parole, abbassarono il capo, forse in lacrime,
forse solo per pensare, e poggiarono una mano sulle spalle
dell'alieno, come per volergli fare coraggio.
_Io
piango. Piango perché la maggior parte della gente non riesce a
capire che non dovrebbe essere ciò che si possiede a dare
soddisfazione, ma dovrebbe soddisfare ciò che si riesce a diventare.
Non dovrebbe essere la ricchezza a fare la differenza, ma dovrebbero
essere le cose più semplici: i piccoli successi personali, la
soddisfazione che provo nel fare qualcosa, gli amici con cui posso
parlare, le cose che ho imparato leggendo un libro. Questo dà la
vera felicità, perché è con questo che si conquistano davvero le
cose, non col denaro. Il denaro può servire per i bisogni
elementari, una volta soddisfatti quelli, diventa inutile. Invece in
sto mondo di merda ci si incaponisce per diventare ricchi, rimanendo
dal punto di vista personale degli esseri orrendi. Per questo voglio
tornare a casa, per questo mi manca Titania, pianeta anch'esso
vittima delle dinamiche della Terra.
_Cosa
c'entra Titania? Perché è vittima?_ chiesero
quasi in coro i due amici.
_Non
capite? Succede lo stesso che accade con i ricchi e i poveri. Gli
abitanti della Terra per soddisfare i loro futili desideri tolgono
risorse agli altri pianeti, che non hanno più nulla di cui vivere.
Noi ci mangiamo schifezze da mattina a sera, e su Titania non c'è
nemmeno una razione di riso pro capite al giorno. Noi compriamo
l'acqua al supermercato, e su Titania la gente si fa chilometri a
piedi per raccoglierla in secchi da una pozzanghera. Sulla Terra si
fa una vita stupida. Per questo voglio tornare dove non c'è nulla,
perché almeno là sarò schiavo della sola necessità. Qua invece
dovrò guardarmi costantemente dal rischio di non diventare come un
terrestre medio: schiavo di necessità e di futili desideri. In
fondo, si sta meglio dove i soldi nemmeno esistono, perché tutto
quello che c'è lo si può avere subito, anche se poco, e non si è
costretti ad osservare da mane a sera qualcosa che ci manca, senza
mai avere la possibilità di averlo. Ed io, che anche cerco di
preservarmi immune dal futile desiderio, vivo costantemente con la
rabbia, perché vedo tutto questo senza poter far nulla. Per questo,
amici, piango e voglio tornare a casa. Per questo.
Gli
amici ascoltarono, d'accordo su tutto quanto detto dall'amico. Su
tutto, tranne che una cosa. Guardandosi in viso e capendosi senza
aprir bocca, i due umani risposero a turno al piccolo alieno.
_Non
è vero che non puoi far nulla._ Disse uno.
_Puoi
parlare, come hai fatto con noi. Piano piano, tutti insieme, si può
far molto._ Concluse l'altro.
E
prendendo per mano l'omino dai grandi occhi neri, si diressero verso
il pullman per tornare a casa, costatando che la pioggia, nel
frattempo, scendeva meno forte.