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Eravamo
nella tana, ed anche se non potevamo vedere nulla davanti a noi a
causa dello scudo, notammo immediatamente che qualcosa non tornava.
Il drago avrebbe dovuto accoglierci con il suo alito rovente, ma
allora dov'erano le fiamme?
Sollevando
lentamente la testa oltre al cofano, osservai tutt'attorno alla
ricerca del lucertolone, ma trovai solamente un bidet ed un water
parzialmente divelti.
«Dov'è
il drago?», domandai sospettoso.
«Deve
essersi nascosto», ipotizzò Amedé.
«Nel
cesso?»
«Allora
è fuggito», disse Fedro lasciando cadere il pesante cofano.«Là
c'è una finestra aperta».
Di
corsa, ci dirigemmo tutti in direzione della finestra, scrutando il
cielo e la strada alla ricerca del mostro fuggitivo, senza notare
nulla di anomalo.
«Fuori
non c'è, deve essere qui, da qualche parte».
Proprio
mentre pronunciavo quelle parole, di nuovo il rumore gorgogliante si
fece sentire alla nostre spalle. Spaventati, ci voltammo di scatto,
convinti di vedere le fauci del mostro pronte ad avventarsi su di
noi, ma ancora una volta vedemmo solo il water malandato. Al che,
Amedé ebbe l'illuminazione.
«Ragazzi,
non c'è nessun drago. Lo avevo detto io: è davvero il rumore
dell'acqua nelle tubature. Probabilmente lo scarico di quel vecchio
cesso ha una perdita».
Scettici,
rimanemmo immobili per un minuto, fino a che il rumore fugò
definitivamente i nostri dubbi.
«Quindi
non siamo degli eroi», disse Fedro sedendosi pesantemente sul bordo
del bidet. Pareva essere diventato improvvisamente stanco.
«No,
siamo solo degli illusi», sentenziai a mia volta, sentendomi anch'io
privo di energie.
A
testa bassa, camminando piano, uscimmo dal bagno e scendemmo le
scale, senza preoccuparci di riportare con noi le armi; senza badare
al tonfo sordo dei nostri passi sul legno dei gradini. Una volta al
piano terra, l'odore pungente dell'orina di gatto ci riempì le
narici, e notevolmente infastiditi, ci affrettammo a scavalcare la
finestra da cui eravamo entrati. Il cortile mi pareva ancora più
desolante di quanto mi fosse apparso in precedenza. Al di sotto del
grande albero, notai con la coda dell'occhio un mucchietto di peli
bianchi e neri, totalmente immobili: doveva essere il cadavere del
gatto scomparso qualche giorno addietro, semplicemente perito per la
vecchiaia.
Senza
badare a chi vi fosse per strada, scavalcammo il muretto di cinta
dell'abitazione, poi tornammo in casa di Fedro, dove ci accolse sua
madre preoccupata per la nostra prolungata assenza. Alle sue domande,
rispondemmo con un filo di voce che eravamo andati a giocare poco
distante da lì.
Io
ed Amedé non ci trattenemmo a lungo dal nostro amico: prendemmo
ognuno il proprio giaccone e ce ne tornammo mesti a casa. Mentre
camminavo lungo la via del ritorno, notai che la luce solare si era
notevolmente affievolita. Anche per quel giorno, l'omino nel cielo
aveva fatto il suo lavoro: era giunto anche per lui ed i suoi
possenti cavalli il momento del riposo.
Ricordo
ancora la bruciante delusione che provammo nel vedere che la nostra
missione si era conclusa con la scoperta di un bagno malandato. Per
diverso tempo evitammo accuratamente di parlare della nostra
disfatta, fino a che, quando ormai avevamo tutti dieci anni, Amedé
tirò fuori nuovamente l'argomento.
«Vi
ricordate l'anno scorso, quando cercavamo il drago?»
«Come
dimenticarlo? Ancora mi brucia che non c'era!», dissi leggermente
alterato.
«Sì,
è stato un peccato che sia finita così. Ma in fondo, cosa cambia?»
Io
e Fedro guardammo incuriositi il nostro amico. Ci pareva evidente
l'abissale differenza: eravamo partiti speranzosi di diventare degli
eroi, ma una volta tornati non avevamo domato nessuna bestia.
«Mi
spiego meglio: anche se il mostro non c'era, noi eravamo pronti a
combatterlo ugualmente», ci disse Amedé. «Avevamo paura, ma alla
fine siamo andati avanti comunque, cercando di farci coraggio. Per
come la vedo io, siamo comunque degli eroi».
Fedro
sollevò lo sguardo da terra e guardò negli occhi l'amico parigino.
«Tu dici che conta ugualmente come un'impresa eroica? Anche se non
abbiamo combattuto?»
«Per
me sì. Da quel giorno mi sono sentito spaventato molto più
raramente, ed anche quando è capitato, mi sono sempre ricordato di
quando ho aperto la porta ed abbiamo fatto tutti irruzione nel
bagno».
«Ah!
Mi ricordo! È stato uno dei momenti più emozionanti della mia
vita», dissi con fare da ometto vissuto.
«Vero!
Un minuto prima stavo piagnucolando», continuò Amedé, «ed un
minuto dopo ero pronto a prendere a bastonate un drago! È grazie a
quel momento se sono diventato più forte».
«Hai
ragione», commentò Fedro, «arrivati nella tana saremmo stati
pronti a fare di tutto: avevamo sconfitto la paura».
«Esattamente!»,
riprese il nostro amico di colore, «Ci ho pensato tanto: quel giorno
sapevamo cosa volevamo fare, e insieme, abbiamo fatto di tutto per
farlo. Siamo stati bravi».
«Eroici
direi», corressi sorridendo il mio amico. «Tutti per uno?»
«Ed
uno per uno!», concluse trionfalmente Fedro, che continuava a
perseverare nel suo madornale errore.
«Guarda
che si dice “uno per tutti”, come dici te non ha senso», lo
apostrofò Amedé.
«Ma
non dire baggianate!»
Con
il nostro spirito combattivo finalmente ritrovato, tornammo a giocare
sotto al sole caldo, trasportato sul suo carro dall'infaticabile
omino del cielo.