giovedì 1 dicembre 2016

IL DRAGO (Episodio 4)

di Gianluca Bissolati
Link ep.1: http://logaloud.blogspot.it/2016/11/il-drago-episodio-1.html
Link ep.2: http://logaloud.blogspot.it/2016/11/il-drago-episodio-2.html
Link ep.3: http://logaloud.blogspot.it/2016/11/il-drago-episodio-3.html


 Eravamo nella tana, ed anche se non potevamo vedere nulla davanti a noi a causa dello scudo, notammo immediatamente che qualcosa non tornava. Il drago avrebbe dovuto accoglierci con il suo alito rovente, ma allora dov'erano le fiamme?
Sollevando lentamente la testa oltre al cofano, osservai tutt'attorno alla ricerca del lucertolone, ma trovai solamente un bidet ed un water parzialmente divelti.
«Dov'è il drago?», domandai sospettoso.
«Deve essersi nascosto», ipotizzò Amedé.
«Nel cesso?»
«Allora è fuggito», disse Fedro lasciando cadere il pesante cofano.«Là c'è una finestra aperta».
Di corsa, ci dirigemmo tutti in direzione della finestra, scrutando il cielo e la strada alla ricerca del mostro fuggitivo, senza notare nulla di anomalo.
«Fuori non c'è, deve essere qui, da qualche parte».
Proprio mentre pronunciavo quelle parole, di nuovo il rumore gorgogliante si fece sentire alla nostre spalle. Spaventati, ci voltammo di scatto, convinti di vedere le fauci del mostro pronte ad avventarsi su di noi, ma ancora una volta vedemmo solo il water malandato. Al che, Amedé ebbe l'illuminazione.
«Ragazzi, non c'è nessun drago. Lo avevo detto io: è davvero il rumore dell'acqua nelle tubature. Probabilmente lo scarico di quel vecchio cesso ha una perdita».
Scettici, rimanemmo immobili per un minuto, fino a che il rumore fugò definitivamente i nostri dubbi.
«Quindi non siamo degli eroi», disse Fedro sedendosi pesantemente sul bordo del bidet. Pareva essere diventato improvvisamente stanco.
«No, siamo solo degli illusi», sentenziai a mia volta, sentendomi anch'io privo di energie.
A testa bassa, camminando piano, uscimmo dal bagno e scendemmo le scale, senza preoccuparci di riportare con noi le armi; senza badare al tonfo sordo dei nostri passi sul legno dei gradini. Una volta al piano terra, l'odore pungente dell'orina di gatto ci riempì le narici, e notevolmente infastiditi, ci affrettammo a scavalcare la finestra da cui eravamo entrati. Il cortile mi pareva ancora più desolante di quanto mi fosse apparso in precedenza. Al di sotto del grande albero, notai con la coda dell'occhio un mucchietto di peli bianchi e neri, totalmente immobili: doveva essere il cadavere del gatto scomparso qualche giorno addietro, semplicemente perito per la vecchiaia.
Senza badare a chi vi fosse per strada, scavalcammo il muretto di cinta dell'abitazione, poi tornammo in casa di Fedro, dove ci accolse sua madre preoccupata per la nostra prolungata assenza. Alle sue domande, rispondemmo con un filo di voce che eravamo andati a giocare poco distante da lì.
Io ed Amedé non ci trattenemmo a lungo dal nostro amico: prendemmo ognuno il proprio giaccone e ce ne tornammo mesti a casa. Mentre camminavo lungo la via del ritorno, notai che la luce solare si era notevolmente affievolita. Anche per quel giorno, l'omino nel cielo aveva fatto il suo lavoro: era giunto anche per lui ed i suoi possenti cavalli il momento del riposo.

Ricordo ancora la bruciante delusione che provammo nel vedere che la nostra missione si era conclusa con la scoperta di un bagno malandato. Per diverso tempo evitammo accuratamente di parlare della nostra disfatta, fino a che, quando ormai avevamo tutti dieci anni, Amedé tirò fuori nuovamente l'argomento.
«Vi ricordate l'anno scorso, quando cercavamo il drago?»
«Come dimenticarlo? Ancora mi brucia che non c'era!», dissi leggermente alterato.
«Sì, è stato un peccato che sia finita così. Ma in fondo, cosa cambia?»
Io e Fedro guardammo incuriositi il nostro amico. Ci pareva evidente l'abissale differenza: eravamo partiti speranzosi di diventare degli eroi, ma una volta tornati non avevamo domato nessuna bestia.
«Mi spiego meglio: anche se il mostro non c'era, noi eravamo pronti a combatterlo ugualmente», ci disse Amedé. «Avevamo paura, ma alla fine siamo andati avanti comunque, cercando di farci coraggio. Per come la vedo io, siamo comunque degli eroi».
Fedro sollevò lo sguardo da terra e guardò negli occhi l'amico parigino. «Tu dici che conta ugualmente come un'impresa eroica? Anche se non abbiamo combattuto?»
«Per me sì. Da quel giorno mi sono sentito spaventato molto più raramente, ed anche quando è capitato, mi sono sempre ricordato di quando ho aperto la porta ed abbiamo fatto tutti irruzione nel bagno».
«Ah! Mi ricordo! È stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita», dissi con fare da ometto vissuto.
«Vero! Un minuto prima stavo piagnucolando», continuò Amedé, «ed un minuto dopo ero pronto a prendere a bastonate un drago! È grazie a quel momento se sono diventato più forte».
«Hai ragione», commentò Fedro, «arrivati nella tana saremmo stati pronti a fare di tutto: avevamo sconfitto la paura».
«Esattamente!», riprese il nostro amico di colore, «Ci ho pensato tanto: quel giorno sapevamo cosa volevamo fare, e insieme, abbiamo fatto di tutto per farlo. Siamo stati bravi».
«Eroici direi», corressi sorridendo il mio amico. «Tutti per uno?»
«Ed uno per uno!», concluse trionfalmente Fedro, che continuava a perseverare nel suo madornale errore.
«Guarda che si dice “uno per tutti”, come dici te non ha senso», lo apostrofò Amedé.
«Ma non dire baggianate!»
Con il nostro spirito combattivo finalmente ritrovato, tornammo a giocare sotto al sole caldo, trasportato sul suo carro dall'infaticabile omino del cielo.

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