Link ep.1: http://logaloud.blogspot.it/2016/11/il-drago-episodio-1.html
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Il
giardino era ridotto ad un groviglio di sterpaglie e rametti
spezzati, con un alto albero in un punto poco distaste la casa.
Dovevo guardare attentamente dove mettevo i piedi, dal momento che
l'olfatto mi diceva che quello era ormai diventato il gabinetto di
tutti i gatti del vicinato. Senza perdere tempo, io e i miei amici
individuammo una finestra socchiusa, e agili come dei topolini, ci
intrufolammo nel pertugio, riuscendo a fatica a far passare anche il
cofano.
«C'è
puzza di pipì di gatto qua dentro!», esclamai schifato non appena
misi piede in un grande stanzone completamente vuoto.
«Non
sono i gatti!», mi corresse Fedro, «È il drago che marca il suo
territorio!»
«E
non urlare! Il drago potrebbe sentirti e venirci a prendere tutti»,
mi rimproverò Amedé bisbigliando, «se ci mangia tutti è colpa
tua!»
Lo
guardai risentito e rimasi in silenzio, rifiutando in cuor mio
l'accusa di essere la possibile causa della nostra disfatta.
Zittendoci con un sibilo, Fedro si incamminò nella stanza adiacente
a quella in cui eravamo, in cui si trovava una rampa di scale che
conduceva al primo piano. Ai piedi della scalinata, ci fermammo per
qualche secondo riflettendo sul nostro imminente futuro.
«Ci
siamo», dissi. «Tra poco passeremo alla storia come coloro che
hanno domato un drago».
«Siamo
degli eroi, gente», annunciò Fedro appoggiando il cofano sulle
scale di legno, che immancabilmente produssero un rumore sordo che
rimbombò tra le pareti.
«Ancora
a fare rumore?!», lo apostrofò Amedé, «prima ci è andata bene
quando Gian ha urlato, ma se stavolta esce dal suo nascondiglio e
scende a mangiarci è colpa tua, Fedro!». Il bersaglio del
rimprovero consigliò all'amico di non dire baggianate, terminando la
frase con una parola che non si addiceva per niente in bocca ad un
bambino di nove anni.
«Ma
tua mamma lo sa che chiami il pisello in quel modo?», domandai
scioccato.
«No,
e non deve saperlo».
«Quando
abbiamo finito col drago glielo dirò», mugugnò Amedé,
visibilmente risentito, «poi mi dirai se ti ha fatto più paura la
bestia o tua madre arrabbiata».
«Basta
discutere!», mi intromisi facendo da paciere, «Abbiamo l'umanità
intera da salvare».
In
silenzio e col viso imbronciato, salimmo le scale di legno camminando
più adagio possibile. Io ed Amedé ci muovemmo agili come farfalle,
mentre Fedro, appesantito dal cofano, aveva l'incedere di un
ippopotamo. Seppur preoccupati per il baccano, sia Amedé che io
decidemmo di non dire nulla: non era il caso di infastidire il nostro
compagno biondo ancora di più. Una volta giunti in cima alla
scalinata, ci trovammo davanti una porta aperta, che conduceva a
quella che un tempo era stata una camera da letto. Senza esitare vi
entrammo, e qui sentimmo per la prima volta il respiro del drago,
proveniente da una porta chiusa in una delle pareti.
«Porca
vacca!», esclamò Amedé spaventato, e corse a ripararsi dietro a
Fedro ed il suo scudo.
«Eh
no!», bisbigliò il biondino, «Prima ci dici di non fare rumore, ed
ora che siamo a quattro passi dall'animale ti metti ad urlare? Se
adesso esce e ci mangia è colpa tua, mica mia!». Non potei fare a
meno di provare un sincero piacere udendo quelle parole puramente
vendicative.
«Ma
ho paura ragazzi! La faccenda potrebbe essere più pericolosa del
previsto!»
«Sii
coraggioso!», dissi con tono condiscendente.
«Ma
ho troppa paura! Non ce la faccio!»
«Mio
papà dice che si può essere coraggiosi solamente quando si ha
paura, altrimenti il coraggio non avrebbe senso: se non si teme
niente, ci si comporta in maniera normale», risposi per dare animo
al mio amico francese, «è in queste situazioni che si vedono i veri
eroi: quando fanno quello che devono anche se gli tremano le gambe.»
«Gian
ha ragione», mi diede manforte Fedro, ormai scordatosi il
risentimento nei confronti dell'amico, «e poi abbiamo uno scudo e le
armi: niente ci può fermare. Tutti per uno, e uno per uno!», urlò
in fine trionfalmente, inconsapevole di aver appena massacrato una
delle frasi più famose della storia.
«Ok,
andiamo!», disse Amedé sentendosi un po' meglio, «Uno per tutti, e
tutti per uno!». Seppure non dissi nulla, non potei fare a meno di
provare un senso di pace interiore quando la citazione venne fatta
correttamente.
«Ai
posti di combattimento!», urlai ai miei compagni d'armi, proprio
mentre dall'altra parte della porta tornava a farsi sentire il
temibile respiro.
Ormai
pronti alla battaglia, ci disponemmo come avevamo in precedenza
stabilito. Io mi appiattii lungo la parete alla destra della porta,
tenendo saldamente in mano il tubo di ferro; Amedé si mise al lato
opposto, con una mano sulla maniglia e nell'altra il manico della
scopa; Fedro, accucciandosi dietro allo scudo, si posizionò
esattamente davanti all'ingresso della tana, pronto a respingere le
fiamme che il drago ci avrebbe vomitato addosso non appena avremmo
spalancato l'uscio.
«Apri!»,
urlai. Al mio ordine Amedé abbassò la maniglia, permettendo a Fedro
ed al suo scudo di entrare nella tana, seguito a ruota da me e
dall'altro guerriero. In men che non si dica, eravamo nel
nascondiglio del drago, pronti a combattere con le unghie e con i
denti.
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