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Quando
ero bambino, mia madre era solita raccontarmi la storia di un uomo
che viaggiava nel cielo con un carro trainato da possenti cavalli,
trasportando il sole nel suo tragitto celeste. A quei tempi non
sapevo che si stesse riferendo all'antico mito di Apollo, e
l'ascoltavo con incredulità, senza cogliere il carattere allegorico
delle sue parole. Perché mai un disgraziato avrebbe dovuto fare un
lavoro tanto pesante? Come diavolo faceva a non scottarsi portando a
spasso una lampadina tanto grande? E poi, come faceva a non cadere a
terra? Seppure sospettoso, da bravo bambino quale ero, credevo alle
parole di mia madre, e quel giorno, uscendo di casa, non potei fare a
meno di constatare che quell'omino aveva già compiuto parecchia
strada, essendo il sole già nella fase calante del tardo pomeriggio.
L'appuntamento
prima della spedizione alla tana del drago era per le sedici a casa
di Fedro. La dimora del mio amico era la metà di destra di un grande
edificio bifamiliare, costruito con uno schema speculare tra le due
abitazioni. Arrivai alla meta con qualche minuto di ritardo, e suonai
il citofono tenendo stretta sotto al giaccone l'arma che mi ero
portato dietro. Ad aprirmi la porta fu Fedro, che mi fece segno di
entrare senza dare nell'occhio, e di seguirlo al primo piano, dove
già si trovava Amedé.
Entrai
nella camera del mio amico, dove, seduto a terra, ci aspettava il
terzo della combriccola. Sul letto di Fedro erano poggiate le armi
trovate dai miei due soci: un vecchio cofano di un auto, rubato da
Fedro nell'officina del padre meccanico, ed un manico di scopa
portato da Amedé. Vicino ai due attrezzi riposi anche l'oggetto che
mi ero portato dietro: un tubo di ferro lungo una trentina di
centimetri. Osservai per un po' il nostro arsenale, constatando
compiaciuto come quelle cianfrusaglie ci avrebbero sicuramente
protetto dal temibile drago.
Fedro
si accomodò accanto ad Amedé, facendomi segno di fare altrettanto.
«Siamo tutti pronti per la spedizione?», ci domandò il padrone di
casa. Senza pensarci due volte, io ed Amedé rispondemmo che non
eravamo mai stati più pronti in vita nostra.
«Prima
di partire», continuò Fedro, «voglio portarvi ad ascoltare il
respiro del drago, così capirete anche voi dove dobbiamo andare una
volta entrati nella sua tana».
Facendo
segno di alzarci, Fedro ci condusse dalla camera da letto al bagno
del primo primo. Una volta giunti a destinazione, il biondino ci
intimò di restare in silenzio. Rimanemmo muti per circa un minuto,
guardandoci a vicenda negli occhi trepidanti, poi udimmo
l'agghiacciante suono. Da oltre la parete, nel bagno della casa
accanto, udimmo un rumore basso e gorgogliante, che proseguì per
pochi secondi, dopodiché cadde nuovamente il silenzio.
«Ha
un respiro che somiglia moltissimo al rumore che fa l'acqua nei tubi
quando c'è una perdita!», esclamò Amedé, senza rendersi conto che
con quell'affermazione avrebbe potuto mandare a monte la nostra
missione.
«Naturalmente»,
concesse Fedro, «il drago devo produrre molta saliva se non vuole
bruciarsi la gola con il fuoco. Per questo, quando respira, l'aria
che passa dai polmoni alle narici smuove tutta la bava, facendo quel
rumore».
Continuavo
a rimanere strabiliato dall'infinita saggezza di Fedro, domandandomi
dove avesse ottenuto tutte quelle informazioni sull'anatomia
dell'animale in questione. Quando glielo chiesi, mi rispose
infastidito che gliele aveva fornite un suo cugino, che aveva avuto
la fortuna di incontrare un drago prima di noi. Fidandomi del mio
amico, non posi più domande, e tutti e tre, in silenzio, tornammo
nella camera da dove eravamo venuti.
Una
volta qui raccogliemmo ognuno la nostra arma, e scendemmo le scale
facendo meno rumore possibile. Per me ed Amedé non fu difficile
essere silenziosi, ma per Fedro, che doveva portarsi dietro il cofano
che avremmo utilizzato come scudo contro il fuoco della bestia, la
faccenda era più complicata del previsto. Non appena uscì dalla
camera, andò a sbattere contro la ringhiera delle scale, facendo un
baccano infernale. Trattenemmo tutti e tre il respiro, aspettandoci
l'urlo della madre del nostro amico da un momento all'altro.
Fortunatamente, la signora Fedro era impegnata a guardare un
programma televisivo, e non disse nulla nonostante il frastuono.
Rincuorati, scendemmo il più rapidamente possibile le scale ed
uscimmo in strada, passando per la porta che vi conduceva
direttamente.
Una
volta all'aperto ci guardammo in torno per controllare che nessuno ci
avesse visti, poi, il più rapidamente possibile, scavalcammo il
basso muro di cinta che conduceva nel cortile dell'abitazione
adiacente. Finalmente, dopo tanto parlare, era giunto il momento di
entrare in azione.
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