giovedì 1 dicembre 2016

IL DRAGO (Episodio 4)

di Gianluca Bissolati
Link ep.1: http://logaloud.blogspot.it/2016/11/il-drago-episodio-1.html
Link ep.2: http://logaloud.blogspot.it/2016/11/il-drago-episodio-2.html
Link ep.3: http://logaloud.blogspot.it/2016/11/il-drago-episodio-3.html


 Eravamo nella tana, ed anche se non potevamo vedere nulla davanti a noi a causa dello scudo, notammo immediatamente che qualcosa non tornava. Il drago avrebbe dovuto accoglierci con il suo alito rovente, ma allora dov'erano le fiamme?
Sollevando lentamente la testa oltre al cofano, osservai tutt'attorno alla ricerca del lucertolone, ma trovai solamente un bidet ed un water parzialmente divelti.
«Dov'è il drago?», domandai sospettoso.
«Deve essersi nascosto», ipotizzò Amedé.
«Nel cesso?»
«Allora è fuggito», disse Fedro lasciando cadere il pesante cofano.«Là c'è una finestra aperta».
Di corsa, ci dirigemmo tutti in direzione della finestra, scrutando il cielo e la strada alla ricerca del mostro fuggitivo, senza notare nulla di anomalo.
«Fuori non c'è, deve essere qui, da qualche parte».
Proprio mentre pronunciavo quelle parole, di nuovo il rumore gorgogliante si fece sentire alla nostre spalle. Spaventati, ci voltammo di scatto, convinti di vedere le fauci del mostro pronte ad avventarsi su di noi, ma ancora una volta vedemmo solo il water malandato. Al che, Amedé ebbe l'illuminazione.
«Ragazzi, non c'è nessun drago. Lo avevo detto io: è davvero il rumore dell'acqua nelle tubature. Probabilmente lo scarico di quel vecchio cesso ha una perdita».
Scettici, rimanemmo immobili per un minuto, fino a che il rumore fugò definitivamente i nostri dubbi.
«Quindi non siamo degli eroi», disse Fedro sedendosi pesantemente sul bordo del bidet. Pareva essere diventato improvvisamente stanco.
«No, siamo solo degli illusi», sentenziai a mia volta, sentendomi anch'io privo di energie.
A testa bassa, camminando piano, uscimmo dal bagno e scendemmo le scale, senza preoccuparci di riportare con noi le armi; senza badare al tonfo sordo dei nostri passi sul legno dei gradini. Una volta al piano terra, l'odore pungente dell'orina di gatto ci riempì le narici, e notevolmente infastiditi, ci affrettammo a scavalcare la finestra da cui eravamo entrati. Il cortile mi pareva ancora più desolante di quanto mi fosse apparso in precedenza. Al di sotto del grande albero, notai con la coda dell'occhio un mucchietto di peli bianchi e neri, totalmente immobili: doveva essere il cadavere del gatto scomparso qualche giorno addietro, semplicemente perito per la vecchiaia.
Senza badare a chi vi fosse per strada, scavalcammo il muretto di cinta dell'abitazione, poi tornammo in casa di Fedro, dove ci accolse sua madre preoccupata per la nostra prolungata assenza. Alle sue domande, rispondemmo con un filo di voce che eravamo andati a giocare poco distante da lì.
Io ed Amedé non ci trattenemmo a lungo dal nostro amico: prendemmo ognuno il proprio giaccone e ce ne tornammo mesti a casa. Mentre camminavo lungo la via del ritorno, notai che la luce solare si era notevolmente affievolita. Anche per quel giorno, l'omino nel cielo aveva fatto il suo lavoro: era giunto anche per lui ed i suoi possenti cavalli il momento del riposo.

Ricordo ancora la bruciante delusione che provammo nel vedere che la nostra missione si era conclusa con la scoperta di un bagno malandato. Per diverso tempo evitammo accuratamente di parlare della nostra disfatta, fino a che, quando ormai avevamo tutti dieci anni, Amedé tirò fuori nuovamente l'argomento.
«Vi ricordate l'anno scorso, quando cercavamo il drago?»
«Come dimenticarlo? Ancora mi brucia che non c'era!», dissi leggermente alterato.
«Sì, è stato un peccato che sia finita così. Ma in fondo, cosa cambia?»
Io e Fedro guardammo incuriositi il nostro amico. Ci pareva evidente l'abissale differenza: eravamo partiti speranzosi di diventare degli eroi, ma una volta tornati non avevamo domato nessuna bestia.
«Mi spiego meglio: anche se il mostro non c'era, noi eravamo pronti a combatterlo ugualmente», ci disse Amedé. «Avevamo paura, ma alla fine siamo andati avanti comunque, cercando di farci coraggio. Per come la vedo io, siamo comunque degli eroi».
Fedro sollevò lo sguardo da terra e guardò negli occhi l'amico parigino. «Tu dici che conta ugualmente come un'impresa eroica? Anche se non abbiamo combattuto?»
«Per me sì. Da quel giorno mi sono sentito spaventato molto più raramente, ed anche quando è capitato, mi sono sempre ricordato di quando ho aperto la porta ed abbiamo fatto tutti irruzione nel bagno».
«Ah! Mi ricordo! È stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita», dissi con fare da ometto vissuto.
«Vero! Un minuto prima stavo piagnucolando», continuò Amedé, «ed un minuto dopo ero pronto a prendere a bastonate un drago! È grazie a quel momento se sono diventato più forte».
«Hai ragione», commentò Fedro, «arrivati nella tana saremmo stati pronti a fare di tutto: avevamo sconfitto la paura».
«Esattamente!», riprese il nostro amico di colore, «Ci ho pensato tanto: quel giorno sapevamo cosa volevamo fare, e insieme, abbiamo fatto di tutto per farlo. Siamo stati bravi».
«Eroici direi», corressi sorridendo il mio amico. «Tutti per uno?»
«Ed uno per uno!», concluse trionfalmente Fedro, che continuava a perseverare nel suo madornale errore.
«Guarda che si dice “uno per tutti”, come dici te non ha senso», lo apostrofò Amedé.
«Ma non dire baggianate!»
Con il nostro spirito combattivo finalmente ritrovato, tornammo a giocare sotto al sole caldo, trasportato sul suo carro dall'infaticabile omino del cielo.

martedì 29 novembre 2016

IL DRAGO (Episodio 3)

di Gianluca Bissolati
Link ep.1: http://logaloud.blogspot.it/2016/11/il-drago-episodio-1.html
Link ep:2: http://logaloud.blogspot.it/2016/11/il-drago-episodio-2.html

 Il giardino era ridotto ad un groviglio di sterpaglie e rametti spezzati, con un alto albero in un punto poco distaste la casa. Dovevo guardare attentamente dove mettevo i piedi, dal momento che l'olfatto mi diceva che quello era ormai diventato il gabinetto di tutti i gatti del vicinato. Senza perdere tempo, io e i miei amici individuammo una finestra socchiusa, e agili come dei topolini, ci intrufolammo nel pertugio, riuscendo a fatica a far passare anche il cofano.
«C'è puzza di pipì di gatto qua dentro!», esclamai schifato non appena misi piede in un grande stanzone completamente vuoto.
«Non sono i gatti!», mi corresse Fedro, «È il drago che marca il suo territorio!»
«E non urlare! Il drago potrebbe sentirti e venirci a prendere tutti», mi rimproverò Amedé bisbigliando, «se ci mangia tutti è colpa tua!»
Lo guardai risentito e rimasi in silenzio, rifiutando in cuor mio l'accusa di essere la possibile causa della nostra disfatta. Zittendoci con un sibilo, Fedro si incamminò nella stanza adiacente a quella in cui eravamo, in cui si trovava una rampa di scale che conduceva al primo piano. Ai piedi della scalinata, ci fermammo per qualche secondo riflettendo sul nostro imminente futuro.
«Ci siamo», dissi. «Tra poco passeremo alla storia come coloro che hanno domato un drago».
«Siamo degli eroi, gente», annunciò Fedro appoggiando il cofano sulle scale di legno, che immancabilmente produssero un rumore sordo che rimbombò tra le pareti.
«Ancora a fare rumore?!», lo apostrofò Amedé, «prima ci è andata bene quando Gian ha urlato, ma se stavolta esce dal suo nascondiglio e scende a mangiarci è colpa tua, Fedro!». Il bersaglio del rimprovero consigliò all'amico di non dire baggianate, terminando la frase con una parola che non si addiceva per niente in bocca ad un bambino di nove anni.
«Ma tua mamma lo sa che chiami il pisello in quel modo?», domandai scioccato.
«No, e non deve saperlo».
«Quando abbiamo finito col drago glielo dirò», mugugnò Amedé, visibilmente risentito, «poi mi dirai se ti ha fatto più paura la bestia o tua madre arrabbiata».
«Basta discutere!», mi intromisi facendo da paciere, «Abbiamo l'umanità intera da salvare».
In silenzio e col viso imbronciato, salimmo le scale di legno camminando più adagio possibile. Io ed Amedé ci muovemmo agili come farfalle, mentre Fedro, appesantito dal cofano, aveva l'incedere di un ippopotamo. Seppur preoccupati per il baccano, sia Amedé che io decidemmo di non dire nulla: non era il caso di infastidire il nostro compagno biondo ancora di più. Una volta giunti in cima alla scalinata, ci trovammo davanti una porta aperta, che conduceva a quella che un tempo era stata una camera da letto. Senza esitare vi entrammo, e qui sentimmo per la prima volta il respiro del drago, proveniente da una porta chiusa in una delle pareti.
«Porca vacca!», esclamò Amedé spaventato, e corse a ripararsi dietro a Fedro ed il suo scudo.
«Eh no!», bisbigliò il biondino, «Prima ci dici di non fare rumore, ed ora che siamo a quattro passi dall'animale ti metti ad urlare? Se adesso esce e ci mangia è colpa tua, mica mia!». Non potei fare a meno di provare un sincero piacere udendo quelle parole puramente vendicative.
«Ma ho paura ragazzi! La faccenda potrebbe essere più pericolosa del previsto!»
«Sii coraggioso!», dissi con tono condiscendente.
«Ma ho troppa paura! Non ce la faccio!»
«Mio papà dice che si può essere coraggiosi solamente quando si ha paura, altrimenti il coraggio non avrebbe senso: se non si teme niente, ci si comporta in maniera normale», risposi per dare animo al mio amico francese, «è in queste situazioni che si vedono i veri eroi: quando fanno quello che devono anche se gli tremano le gambe.»
«Gian ha ragione», mi diede manforte Fedro, ormai scordatosi il risentimento nei confronti dell'amico, «e poi abbiamo uno scudo e le armi: niente ci può fermare. Tutti per uno, e uno per uno!», urlò in fine trionfalmente, inconsapevole di aver appena massacrato una delle frasi più famose della storia.
«Ok, andiamo!», disse Amedé sentendosi un po' meglio, «Uno per tutti, e tutti per uno!». Seppure non dissi nulla, non potei fare a meno di provare un senso di pace interiore quando la citazione venne fatta correttamente.
«Ai posti di combattimento!», urlai ai miei compagni d'armi, proprio mentre dall'altra parte della porta tornava a farsi sentire il temibile respiro.
Ormai pronti alla battaglia, ci disponemmo come avevamo in precedenza stabilito. Io mi appiattii lungo la parete alla destra della porta, tenendo saldamente in mano il tubo di ferro; Amedé si mise al lato opposto, con una mano sulla maniglia e nell'altra il manico della scopa; Fedro, accucciandosi dietro allo scudo, si posizionò esattamente davanti all'ingresso della tana, pronto a respingere le fiamme che il drago ci avrebbe vomitato addosso non appena avremmo spalancato l'uscio.
«Apri!», urlai. Al mio ordine Amedé abbassò la maniglia, permettendo a Fedro ed al suo scudo di entrare nella tana, seguito a ruota da me e dall'altro guerriero. In men che non si dica, eravamo nel nascondiglio del drago, pronti a combattere con le unghie e con i denti.

Link ep.4: http://logaloud.blogspot.it/2016/12/il-drago-episodio-4.html

domenica 27 novembre 2016

IL DRAGO (Episodio 2)

di Gianluca Bissolati
Link ep.1: http://logaloud.blogspot.it/2016/11/il-drago-episodio-1.html

Quando ero bambino, mia madre era solita raccontarmi la storia di un uomo che viaggiava nel cielo con un carro trainato da possenti cavalli, trasportando il sole nel suo tragitto celeste. A quei tempi non sapevo che si stesse riferendo all'antico mito di Apollo, e l'ascoltavo con incredulità, senza cogliere il carattere allegorico delle sue parole. Perché mai un disgraziato avrebbe dovuto fare un lavoro tanto pesante? Come diavolo faceva a non scottarsi portando a spasso una lampadina tanto grande? E poi, come faceva a non cadere a terra? Seppure sospettoso, da bravo bambino quale ero, credevo alle parole di mia madre, e quel giorno, uscendo di casa, non potei fare a meno di constatare che quell'omino aveva già compiuto parecchia strada, essendo il sole già nella fase calante del tardo pomeriggio.
L'appuntamento prima della spedizione alla tana del drago era per le sedici a casa di Fedro. La dimora del mio amico era la metà di destra di un grande edificio bifamiliare, costruito con uno schema speculare tra le due abitazioni. Arrivai alla meta con qualche minuto di ritardo, e suonai il citofono tenendo stretta sotto al giaccone l'arma che mi ero portato dietro. Ad aprirmi la porta fu Fedro, che mi fece segno di entrare senza dare nell'occhio, e di seguirlo al primo piano, dove già si trovava Amedé.
Entrai nella camera del mio amico, dove, seduto a terra, ci aspettava il terzo della combriccola. Sul letto di Fedro erano poggiate le armi trovate dai miei due soci: un vecchio cofano di un auto, rubato da Fedro nell'officina del padre meccanico, ed un manico di scopa portato da Amedé. Vicino ai due attrezzi riposi anche l'oggetto che mi ero portato dietro: un tubo di ferro lungo una trentina di centimetri. Osservai per un po' il nostro arsenale, constatando compiaciuto come quelle cianfrusaglie ci avrebbero sicuramente protetto dal temibile drago.
Fedro si accomodò accanto ad Amedé, facendomi segno di fare altrettanto. «Siamo tutti pronti per la spedizione?», ci domandò il padrone di casa. Senza pensarci due volte, io ed Amedé rispondemmo che non eravamo mai stati più pronti in vita nostra.
«Prima di partire», continuò Fedro, «voglio portarvi ad ascoltare il respiro del drago, così capirete anche voi dove dobbiamo andare una volta entrati nella sua tana».
Facendo segno di alzarci, Fedro ci condusse dalla camera da letto al bagno del primo primo. Una volta giunti a destinazione, il biondino ci intimò di restare in silenzio. Rimanemmo muti per circa un minuto, guardandoci a vicenda negli occhi trepidanti, poi udimmo l'agghiacciante suono. Da oltre la parete, nel bagno della casa accanto, udimmo un rumore basso e gorgogliante, che proseguì per pochi secondi, dopodiché cadde nuovamente il silenzio.
«Ha un respiro che somiglia moltissimo al rumore che fa l'acqua nei tubi quando c'è una perdita!», esclamò Amedé, senza rendersi conto che con quell'affermazione avrebbe potuto mandare a monte la nostra missione.
«Naturalmente», concesse Fedro, «il drago devo produrre molta saliva se non vuole bruciarsi la gola con il fuoco. Per questo, quando respira, l'aria che passa dai polmoni alle narici smuove tutta la bava, facendo quel rumore».
Continuavo a rimanere strabiliato dall'infinita saggezza di Fedro, domandandomi dove avesse ottenuto tutte quelle informazioni sull'anatomia dell'animale in questione. Quando glielo chiesi, mi rispose infastidito che gliele aveva fornite un suo cugino, che aveva avuto la fortuna di incontrare un drago prima di noi. Fidandomi del mio amico, non posi più domande, e tutti e tre, in silenzio, tornammo nella camera da dove eravamo venuti.
Una volta qui raccogliemmo ognuno la nostra arma, e scendemmo le scale facendo meno rumore possibile. Per me ed Amedé non fu difficile essere silenziosi, ma per Fedro, che doveva portarsi dietro il cofano che avremmo utilizzato come scudo contro il fuoco della bestia, la faccenda era più complicata del previsto. Non appena uscì dalla camera, andò a sbattere contro la ringhiera delle scale, facendo un baccano infernale. Trattenemmo tutti e tre il respiro, aspettandoci l'urlo della madre del nostro amico da un momento all'altro. Fortunatamente, la signora Fedro era impegnata a guardare un programma televisivo, e non disse nulla nonostante il frastuono. Rincuorati, scendemmo il più rapidamente possibile le scale ed uscimmo in strada, passando per la porta che vi conduceva direttamente.
Una volta all'aperto ci guardammo in torno per controllare che nessuno ci avesse visti, poi, il più rapidamente possibile, scavalcammo il basso muro di cinta che conduceva nel cortile dell'abitazione adiacente. Finalmente, dopo tanto parlare, era giunto il momento di entrare in azione.

Link ep.3: http://logaloud.blogspot.it/2016/11/il-drago-episodio-3.html

venerdì 25 novembre 2016

IL DRAGO (Episodio 1)

di Gianluca Bissolati


 Quando lo vidi attraversare il cancellino che portava nel cortile di casa mia insieme ad Amedé, mi accorsi immediatamente che in Fedro c'era qualcosa di diverso. Aveva un'espressione seria e forzatamente pacata, ma allo stesso tempo mostrava nei movimenti rapidi e nervosi una notevole eccitazione. Senza salutare e senza chiedere il permesso, si mise a sedere su una delle sedie attorno al tavolino in un angolo del cortile. Io ed Amedé lo imitammo subito.
«Ho scoperto una cosa importantissima».
Io e Amedé ci guardammo. Vedevo negli occhi neri del mio amico la stessa perplessità che provavo io. Avevamo tutti e tre nove anni a quell'epoca, e per quanto volessimo credere all'eccezionalità di quanto scoperto da Fedro, non potevamo fare a meno di pensare che si trattasse, come al solito, di una cosa da nulla.
«Tipo?»
La voce dall'accento francese di Amedé mi precedette. Era un bambino nero di origine parigina, trasferitosi da qualche anno nel piccolo paese della pianura padana in cui avevo sempre abitato.
«È una cosa incredibile ragazzi: c'è un drago vicino a casa mia!»
Spalancai gli occhi e fissai Fedro per un minuto abbondante, senza dire un parola. Studiai attentamente l'espressione sul suo volto, osservando i suoi occhi azzurri alla ricerca di un segno che mi permettesse di capire se stesse dicendo la verità o ci stesse mentendo. Scrutai anche i suoi movimenti. Sapevo che aveva la tendenza a passarsi la mano tra i folti capelli biondi quando mentiva, ma questa volta non fece nulla di simile: si limitò a rimanere nervosamente seduto con la stessa, impassibile, espressione seria e pacata. Pareva sincero.
«Ne sei sicuro?», dissi con un tono inquisitore.
«Al cento per cento. È un drago di quelli veri, con gli occhi rosso fuoco e la lingua biforcuta.»
«Come fai ad essere sicuro che abbia gli occhi rossi e la lingua fatta così? Lo hai visto?», domando Amedé con un fare da avvocato.
«Nossignore, non l'ho visto, l'ho solo sentito respirare».
«E allora come fai ad essere così convinto della tua descrizione?». Avevo ormai deciso di credere all'esistenza del drago: se Fedro diceva di averlo sentito respirare, non avevo alcun motivo di credere che si trattasse di qualcos'altro. Mi stupiva solamente la sicurezza con cui si addentrava nella descrizione della mirabolante bestia, pur non avendola mai vista.
«Siamo seri ragazzi!», sentenziò Fedro con aria annoiata, «lo sanno tutti come sono fatti i draghi! Hanno gli occhi rossi perché il fuoco che hanno in gola li fa brillare, e la lingua è biforcuta perché sono gli antenati di lucertole e serpenti!»
Di fronte a cotanta scientificità feci mea culpa e tacqui, vergognandomi per la mia ignoranza. Amedé, dal canto suo, pur accettando la precisa argomentazione di Fedro, nutriva ancora dei sospetti.
«E perché dovrebbe essere proprio un drago? Si dice che il respiro delle biterne sia molto simile: potrebbe essere una di loro».
«Di cosa?!», domandò visibilmente confuso Fedro.
«Credo volesse dire una viverna», dissi, cercando di interpretare la storpiatura del mio amico.
«E come è fatta quella roba lì?», ci interrogò il nostro compagno biondo.
Assumendo un tono da professore, visibilmente orgoglioso di poterci fornire qualche altra nozione scientifica, Amedé si accinse a narrarci le spettacolari fattezze dell'animale. «Si dice che sia quasi in tutto e per tutto simile ad un drago. Le uniche cose diverse sono le dimensioni – la biterna è più piccola – ed il fatto che, a differenza dei draghi, non abbia le gambe davanti.»
Notai con leggero disappunto che il nome dell'essere oggetto d'analisi continuava ad essere massacrato impunemente, nonostante la mia precisazione. Provai a far notare lo spiacevole fatto, ma Fedro parlò prima che io potessi aprire bocca.
«Non credo che un animale tanto stupido possa esistere. Nossignore!»
«Perché no?», dissi risentito. «Se i draghi esistono, perché le viverne non possono essere reali?»
«Semplicissimo: se davvero la minerva è più piccola dei draghi, sicuramente ad oggi sarebbe già estinta, uccisa dai cugini più grandi. E poi non credo sia mai esistita: come farebbe a muoversi una bestia del genere, senza le gambe davanti? Saltellando come un uccellino? Mi sembra troppo ridicola! Mi rifiuto di crede!»
Seppure affranto dall'ennesimo maltrattamento subito dal nome del mostro, non potei fare a meno di constatare che Fedro aveva ragione. Ancora una volta mi inchinai davanti all'immenso patrimonio culturale posseduto dal mio amico. Anche Amedé pareva convinto, dal momento che non parlò più della viverna e si concentrò su altre questioni.
«Bene allora: è un drago. Dove si trova di preciso?»
Fedro si fece scuro in volto, poi rispose. «Si trova nella casa disabitata vicino alla mia.»
«Un covo eccellente per un drago!», sentenziai ammirando la scelta abitativa della bestia.
«Potrebbe essere un problema», fece notare giustamente Amedé. «Credi sia pericoloso? Hai notato qualcosa di preoccupante nell'ultimo periodo?»
A questa domanda, Fedro si fece pensieroso. Portandosi la mano al mento, fissò per qualche secondo il vuoto, scrutando nei suoi pensieri alla ricerca di qualche anomalia. «Non credo lo sia, per ora. Non è successo nulla di davvero preoccupante. Solo, qualche giorno fa, è scomparso il gatto di una famiglia che abita nel mio quartiere. Lo vedevano molto spesso entrare in una finestra socchiusa della casa disabitata. Credo sia stato mangiato.»
Constatai che la scomparsa del felino doveva essere necessariamente collegata alla comparsa del drago. Se fosse stato investito avrebbero trovato il suo corpo da qualche parte, ma dato che la bestiola non si trovava, l'unica ipotesi accettabile era che fosse stata divorata.
«Ok, per ora la creatura non dà problemi agli esseri umani, ma magari più avanti lo farà. Dovremmo indagare». Amedé sembrava molto deciso nel suo proposito, come del resto sembrava essere d'accordo anche Fedro. Io personalmente provai per un attimo una leggera inquietudine, ma il bene dell'umanità dipendeva dai noi tre, quindi mi feci coraggio e mi dichiarai pronto ad agire.
«Proprio per questo vi ho informati», disse solennemente il nostro amico dagli occhi azzurri, «dobbiamo entrare nel suo covo ed osservarlo, così potremo capire se rappresenta un pericolo o no».
«Come speri di fare, scusa? Non credo sia facile entrare nella tana di un drago, ed ancora meno uscirne. Ci vorrebbero per lo meno delle armi», feci notare.
«Ho già un piano, non ti devi preoccupare. Ho solo bisogno che mi diciate se siete con me o contro di me!»
Io ed Amedé ci guardammo nuovamente, confusi dall'ultima affermazione di Fedro. Perché mai avremmo dovuto essere contro di lui? Al massimo avremmo rifiutato l'avventura e lo avremmo abbandonato nella sua temeraria spedizione, ma non gli avremmo mai messo i bastoni tra le ruote. Sta di fatto che, nonostante le perplessità, io ed il mio socio ribadimmo quanto detto in precedenza e non esitammo ad appoggiare la nobile causa di Fedro.
«Perfetto! Ascoltate cosa ho in mente!»
A queste parole, restammo in silenzio mentre ci veniva illustrato il piano. Per tutto il pomeriggio, noncuranti del freddo tipico dell'ottobre inoltrato, discutemmo su come portare a termine la nostra missione, valutando innumerevoli ipotesi per migliorare il progetto esposto da Fedro.
Saremmo entrati in azione di lì a pochi giorni, pronti a prestare servizio per la causa dell'umanità.

Link Ep. 2: http://logaloud.blogspot.it/2016/11/il-drago-episodio-2.html

martedì 22 novembre 2016

VOGLIA DI ME

di Gianluca Bissolati

Bisogno,
diventa ormai brama.
La gente le risa la voce;
la quiete,
la voglia di pace.
La fuga dai suoni,
dai dardi dei gridi,
dai falsi sorrisi.
Dai versi di stolti
la fuga lontano,
pensando ai miei mondi.
Le pagine il libro la carta:
silenzio agognato,
silenzio che incanta.
E fuggo dal mondo,
la gente è lontana:
bisogno,
diventa ormai brama.

venerdì 4 novembre 2016

LA PERDITA DI UN SOGNO

di Gianluca Bissolati

Un tuffo:
il cuore che mi cadde
vedendo che ad un altro
si volge il tuo respiro.

Sedevo,
immobile nel buio,
a veder quel tuo bel corpo
distante alle mie mani.

Ho pianto,
con lacrime celate
e 'l riso sulla bocca,
la perdita di un sogno.

venerdì 28 ottobre 2016

ANARCHIA MORALE

Anarchia!
Che concetto!
Prima o poi ne parlano tutti, prima o poi ci pensano tutti.
Per definizione essa è un organizzazione societaria basata sull’idea di un ordine fondato sulla pressoché totale libertà degli individui.
Un concetto politico di conseguenza e, come quasi tutti i concetti politici, praticamente inapplicabile nella vita e nella società moderna.
Inoltre, anche ammesso che lo fosse, al pari del comunismo, per citare un altro pensiero piuttosto diffuso, probabilmente non sarebbe accettabile e piacevole per tutti.
Personalmente su questioni politiche preferisco non schierarmi.
Non che non abbia una personale idea, eppure, come scrittore, come artista, mi vedo sempre più costretto ad esprimermi più da un punto di vista psicologico, privato, rispetto che da un punto di vista sociale.
Per schifoso che sia un artista, per sconosciuto che sia, tende a condizionare le persone che lo seguono, che lo apprezzano e ciò è esattamente il contrario di ciò che voglio, soprattutto su un argomento di questa portata.
No, mi concentrerò invece su un pensiero che mi sta molto a cuore, che ho portato avanti negli anni e che ho maturato senza che questo dovesse necessariamente qualificarsi come qualcosa più che semplicemente individuale.
L’anarchia morale, appunto.
Un titolo, un nome, che è già stato, seppure poco, utilizzato, acquisendo una qualche forma di definizione, che ovviamente non condivido per nulla.
Potremmo parlare, per come si sono espressi altri, di anarchia morale come il non schieramento, si parla di atei, persone che preferiscono non votare in ambito di elezioni ed altre situazioni simili, persone, in fin dei conti, disinteressate.
Dal momento che disinteressato significa vuoto, come poeta il non interessamento è un lusso che non mi posso permettere.
In particolar modo quando preso come scelta di vita.
Intendo ridefinire il concetto di anarchia morale, magari dandogli anche la caratteristica di anarchia intellettuale, se preferiamo.
Si tratta appunto di uscire dal sociale.
Immettersi totalmente in se stessi, spogliarsi di tutti gli strati che il tessuto attorno a noi ci ha cucito addosso.
È l’andare controcorrente?
Non necessariamente, ponendo di più l’orecchio alle nostre necessità e voglie ci si renderà conto che molte, anche a livello intimo, corrisponderanno con quelle di moltissime altre persone.
L’iphone più costoso e nuovo sul mercato?
Perché no, se piace DEVE essere acquistato.
L’ultimo abito firmato Prada?
Ci veste bene, è di un colore che ci piace, perché non amarlo?
Attenzione però, diventa quasi ovvio che dopo un po’ le cose che tendono a piacerci, in particolare quelle che vengono apprezzate anche dagli altri, iniziamo a vestirle proprio per avere consensi.
Il personale tende al sociale.
Per assurdo Marx, che ha vissuto in un’epoca dove questo era molto più difficile che succedesse, con una linea netta tra ricchezza e povertà, avrebbe potuto notare che il consumismo altro non è che comunismo morale, che non starò però ad analizzare qua.
Gli uomini e le donne che ci attraggono, senza che ce ne accorgiamo, iniziano ad assomigliarsi sempre di più, fino a che per essere figa devi avere questo vestito, per rimorchiare il sabato sera devi avere questo taglio, bisogna mettersi tutti lo stesso dannato profumo.
Le persone non ci piacciono più, ci piace la società.
Non odiamo più nulla, odiamo la società.
E contrariamente a quanto il comunista media o il complottista, vorrebbero far credere, il “potere dei grandi” su questo c’entra ben poco.
< Guarda quei capitalisti, tutti in giacca e cravatta, come cloni! >
Dissero i 10 ragazzini vestiti tutti uguali, con maglie larghe, pantaloni marroni, cappellino alla Che Guevara e canna in bocca dall’altra parte della strada.
Tutti uguali a mio avviso.
Una fede politica non salva la mente delle persone, gli da solo della gente attorno a loro che, per comodità, li riterrà un po’ meno stupidi.
Sessualmente ora si frustano tutti dopo 50 sfumature di grigio, si mordevano dopo twilight e ci sono stati un sacco di pompini dopo “Gola Profonda”.
Il momento prima si è tutti, no, il bondage è per pervertiti, i vampiri sono per nerd e i pompini da troie.
Poi cosa è successo?
È cambiata la concezione?
Ci siamo riempiti di vampiri in latex dediti alla fellatio?
La risposta purtroppo è personale, non posso risolvere il quesito per voi.
Vi offro un punto di vista, forse liberatorio.
Immaginate tutto quello che la società vi ispira o odiare, da ogni punto di vista, sessuale etico e politico e mettetelo in un'unica immagine.
È così brutta?
Disturbante forse, ma interessante, senza dubbio, perché ci spinge a chiederci “Ma perché questa cosa non va bene?”
Non deve piacerci necessariamente, come dicevo da subito, ognuno ha i propri gusti, ma almeno dovremmo essere spinti a pensare.
A me personalmente sovviene alla mente
Una vecchia musulmana in burka
Una bandiera avvolta attorno a un dildo
Che viene usato analmente da lei
Di fronte a lei
Felice
Brad Pitt si masturba guardandola
E a lei la cosa da fastidio
Eccoci.
Anarchia.

Attenzione, può disturbare.

martedì 13 settembre 2016

L'OMBRA

di Gianluca Bissolati

Vago
per vie stracolme
in compagnia d'un'ombra.
A volte lei,
fattasi grande,
prende il posto mio,ed io,
ridotto ad ombra
la seguo nel cammino.
S'incazza, urla,
offende e anche smadonna,
poi fiera dello scherzo
torna al suo piccolo posto,
lasciando me
ad affrontare volti
per vie stracolme.

Mi fa dispetti,
mi mette nei guai,
ma siamo tanto amici
che mai
andar la lascerei.
Con lei,
l'amica ombra,
ho tanto condiviso
da non poterla perdere
senza perdere me stesso.
Quell'ombra
son sempre io.

venerdì 9 settembre 2016

IO AMO, MA CHI NON ESISTE

di Gianluca Bissolati

Tra poco è già domani,
e a breve attende il mio giudizio.
Per quanto faccia piani,
tutto dipende da un capriccio.

Sì, io amo, ma chi non esiste,
e spesso è qui, reale, in un sogno.
È vano, storie già viste;
e vedo lei senza bisogno.

La inganno, mi inganno,
la guardo e le sorrido,
ma entrambi lo sappiamo
che per non piangere, io, rido.

E ho bisogno di qualcuno, qualcosa:
forza, coraggio, un po' di resistenza;
ma il petalo già cade dalla mia vecchia rosa:
è tutto in un capriccio, prima dell’assenza.

martedì 6 settembre 2016

SALVATORE

di Gianluca Bissolati

Torna
come una liberazione
la sua prepotenza.
Risorge
in mezzo al caos
il tiranno
che porta libertà.

venerdì 2 settembre 2016

LA TELA

di Gianluca Bissolati

La tela si restringe
attorno al filatore
e il ragno tessitore
non vive più fuor d'essa.
Solida e sicura,
diventa il necessario
e un filo a quell'ordito
lo lega alla prigione.
E tu fuggi la pena,
ma sempre vi ritorni
ogn'ora che la quiete
ignota si presenta.
Solida e sicura,
non vivi più fuor d'essa.

lunedì 29 agosto 2016

SOLILOQUIO DEL POTENTE

di Gianluca Bissolati

Che brucino le ore!
Tra le fiamme, ardo anch'io!
Che sorga il sole!
Tra la massa, sorgerò anch'io!
Che brilli la luna!
Tra le tenebre, brillerò anch'io!
Che muoia l'uomo!
Oltre il corpo, non morirà il Dio!

venerdì 26 agosto 2016

FINE DELL'INFINITO

di Juliao Vanazzi

Cosa rappresenta
La nostra epoca
Se non
In definitiva
La morte di ogni concetto
Astratto o metafisico?
La morte
Nietzschiana
Di Dio
È l'inizio della fine dell'infinito.
La morte
Da ascensione
A Putrefazione.
Il cielo
Da paradiso,
A Cosmo.
L''inferno
Da dannazione
Ad Esistenza.


Artwork: "Fine dell'infinito", Gianluca Bissolati

lunedì 22 agosto 2016

MANO NELLA MANO COL DIAVOLO

di Juliao Vanazzi

Osserva il mio percorso
Sì Dio
A te parlo
A te mi rivolgo
Guardami
Ammirami
Odiami
Rinnegami
E poi torna ad amarmi
Non è questo che fai tu
In fondo?
Come i peggiori beoti
Osservi
Esprimi opinioni
E giudichi
Per poi comportarti ancora come in origine
Se no non saresti infinitamente buono
O infinito e basta
Il tuo comportamento ti rende dio
Gli uomini ti rendono tale
E tu ne gioisci
Andando
Mano nella mano con loro
Facendo di loro degli agnelli
Dei "giusti"
Sarà quindi per questo che io
Tra tutti
Non intreccio con te le dita
Camminando
Mano nella mano col diavolo


Artwork: "Mano nella mano col diavolo", Gianluca Bissolati

venerdì 19 agosto 2016

IL BRANCO

di Juliao Vanazzi

Correte assieme a me
Nella neve
Mia è l’incitazione
La vita è la nostra preda
Ne sentite l’odore?
Fugge
Ma via!
Incalziamola
Sfianchiamola
Ma mai abbastanza
Più veloce di noi
E come il vento dovremo correre
I nostri padri l’hanno persa
E così sono morti di fame
Catturiamola
Viviamo!
Vinciamo!


Artwork: "Il Branco", Gianluca Bissolati

mercoledì 17 agosto 2016

LA BANDA DEL CORTILE: "SCHIANTO" (estratto dal capitolo)

di Gianluca Bissolati

“Allora gente, che si fa?”
 Spegnendo la seconda sigaretta del pomeriggio, saluto con la mano Niky e Giova seduti sulla solita panchina davanti al monumento dei caduti della Seconda Guerra Mondiale, al centro della piazza.
 Niky ha l’aria più pallida del solito. Quello che si intravede tra il berretto e il cappotto scuro mette in evidenza il naso e due occhiaie che gli danno un’aria quasi cadaverica. Non è malato. Anzi gode di una salute migliore della mia e di Giova, nonostante sia un po’ più magro di noi. Solo non sopporta assolutamente il freddo, il che spiega gli abiti eccessivamente pesanti per il periodo in cui ci troviamo.
 Giova invece è l’esatto opposto. Cappotto con la cerniera perennemente aperta ed una semplice maglietta a maniche corte. La sua versione per spiegare questa mise è quella che il cappotto che indossa sia sufficientemente caldo nonostante sia aperto. La versione mia e di Niky è quella che si infili dei carboni ardenti nel didietro come hobby e che quindi sia perennemente accaldato. Oppure che sia in menopausa e soffra di scalmane. C’è ancora dibattito.
 “Che ne dite del ‘Nano Storto’?”
 “È troppo presto. È ancora chiuso.”
 Il freddo fa male all’unico neurone di Niky, che fa proposte senza senso. Fortunatamente Giova è sempre attivo, seppure con scarsi risultati il più delle volte, e prontamente lo corregge.
 Prendo il pacchetto dalla tasca ed estraggo un’altra sigaretta.
 “Infatti. Poi ultimamente è strano andare al ‘Nano’.”
 “Per Bruno?“ mi chiede Giova fumando anche lui.
 “Già.”
 Non risponde. Inarca le sopracciglia e guarda Niky che, zitto, ricambia il gesto. So cosa stanno pensando, e non posso dargli torto.
(...)
“Beh, non puoi dargli torto“ dopo qualche minuto di silenzio, finalmente Giova riprende la parola. Niky, soffiandosi sulle mani per scaldarle, annuisce.
 “Forse sì. Ma vedendo come sono andate le cose non capisco il problema.”
(...)
“Lasciamo perdere. Che facciamo allora, dal momento che il ‘Nano’ è chiuso?“ Niky sfodera la sua diplomazia e cambia discorso. Il  che mi fa sinceramente piacere.
 “Andiamo al ‘Cortile’. Ci facciamo due canne anche senza birre. Offro io.”
 Mi giro e gettando a terra il mozzicone della sigaretta mi incammino verso il ‘Cortile’. Alle mie spalle, ‘Ghiacciolo-Niky’ e ‘Menopausa-Giova’ mi seguono. L’uno tremante di freddo, l’altro sventolando la giacca aperta.

 Sono una coppia molto particolare.

 Gatto non appena ci vede arrivare, passa sotto il fil di ferro ed esce dal “Cortile”. Mi stava aspettando per tornare a casa ma capisce che non sarà subito e si sdraia vicino alla recinzione, controllandomi con la coda dell’occhio. A volte credo che sia un cane travestito da felino per quanto mi è fedele.

 Credo mi abbia adottato.
 Magari tu hai adottato lui. È diverso.
 No. È lui che cura me, non viceversa. Devo essere come il suo animale da compagnia.
 Si sono invertite le parti?
 Credo proprio di sì.

“Niky: prendi le cartine. Giova: rompi la siga. Intanto io sbriciolo il fumo.”
 “No, lascia stare. Fai sbriciolare a Niky. Se gli diamo le cartine, ora che fa su la canna, vengono le cinque.”
 “Fottiti“ Niky risponde risentito, pur sapendo che Giova ha perfettamente ragione.
 Sono le mani fredde che fottono Niky in queste operazioni. Sarà un problema circolatorio, ma le sue mani, almeno nel periodo autunnale e invernale, sono sempre ad una temperatura paragonabile a quella di una cella frigorifera, che per rollare non è il massimo. Credo perciò che l’idea di dargli in mano l’accendino e scaldare il Nero sia la migliore. Almeno riporta le dita ad una temperatura umanamente accettabile.

 Dati i compiti, tre canne sono pronte nel giro di cinque minuti. La mia è la più grassa di tutte. Visto che sono io ad offrire, mi sembra il minimo.

Non fumare che poi lavori.

 Accendo la cima col Bic nero e aspiro a pieni polmoni.

 Stavi dicendo?
 Idiota.

 Il sapore del fumo spazza via quello della sigaretta. Non saprei descriverlo con precisione, ma mi riempie dolcemente le narici e mi piace.
(...)
Verso le quattro e venti saluto i miei amici e li lascio a godersi i resti del Nero che gentilmente ho offerto.

E quei due bastardi non hanno rifiutato.

Con passo lento e un po’ barcollante, mi avvio, sorriso stampato in viso e mano che saluta la ‘Strana coppia della temperatura corporea inconsistente’.
 Gatto mi vede, si alza e mi segue. Non mi precede però, sta a qualche metro da me, sulla sinistra. Credo abbia paura di essere calpestato, dato il mio passo insicuro.

 Come dargli torto?
 E adesso come fai a guidare? Come fai a lavorare?
 Come ho fatto l’altra volta.
 Facendo schifo.
 Taci.

 Prima di attraversare la strada, guardo sia a destra che a sinistra. Gatto non lo fa ma, per spirito di partecipazione, si ferma ad aspettarmi.
 Non c’è in giro anima viva. Solo una macchina ferma ad un incrocio poco lontano. Sembra stia ripartendo, ma dovrei farcela comunque ad attraversare.

 Hai fumato. Non sei lucido. Fermati per sicurezza.
 Naaah..

 Scendo dal marciapiede seguito da Gatto che continua a mantenersi qualche metro alla mia sinistra.
 Sento che l’auto accelera improvvisamente. Mi volto. Gatto rimane immobile in mezzo alla strada e viene travolto. L’auto sbanda e si schianta con il muso contro la mia anca, sollevandomi da terra. Ricado sul cofano sbattendo la testa contro il parabrezza, all’altezza del sopracciglio. Il rinculo mi sbalza a qualche metro di distanza.

 L’auto si allontana lasciandomi solo sull’asfalto.


(Per maggiori informazioni sull'opera integrale o per l'acquisto, copiare e incollare il link di seguito:
 http://www.ibs.it/ebook/Bissolati-Gianluca/La-banda-del/9788898041381.html )

venerdì 12 agosto 2016

LUI

di Juliao Vanazzi

È perché non amo abbastanza
Lui e non io
E tu non amavi a sufficienza
Lui e non io
Perché ho poi troppo amato e troppo voluto
Lui e non io
E mentre lui ride io piango
Lui e non io
Una scelta
Giusta?
Sbagliata?
Solo inequivocabile
Dolorosa come una lama.
Come una lacrima
Inizia invisibile
Lenta
Eppure inafferrabile
E senza possibilità di freno
E le mie mani
Una volta su te
A colmare i tuoi vuoti
Ora coprono solo il mio viso
E nascondono la mia distruzione
Mentre lui ancora ti assapora
Lui e non io.


Artwork: "Lui", Gianluca Bissolati

lunedì 8 agosto 2016

IL MIO PAESAGGIO

di Juliao Vanazzi

Dov'è?
Dov'è andato quel cuore
Quel fuoco
Che scaldavano tutto ciò che ero
Mi donavano l'anima
Che mi faceva amare
Sbagliare
Piangere e vivere
Amore che brucia amore
E come sale cartaginese
Lascia il mio paesaggio
Arido
Depredato
Incapace di rinascere
Assetato di ricordi
Alla ricerca disperata
Di nuovi pensieri
E ispirazioni
E guardandomi
Non mi riconosco.



Artwork: "Il mio paesaggio", Gianluca Bissolati

venerdì 5 agosto 2016

REALTÀ

di Juliao Vanazzi

Realtà
Di realtà ti parlo
Poiché di null'altro mi intendo.
Non di sentimento
Né di passato

Dio mi perdoni
Di ciò che sarà.
Il mio occhio vede
Eppur è cieco
E se Iddio non mi perdona
Mi accolga dunque il diavolo
Dal momento che solo le sue creazioni tra tutte
Mi sono visibili.
E se
Nel mio ultimo istante
Con la gola secca
E le narici libere
Gli occhi non arrossati
Vedrò un Eden
Campi elisi dei valorosi
Saprò che Lucifero
Dopo avermi tolto ogni cosa
Mi ha privato anche della realtà.


Artwork: "Realtà", Gianluca Bissolati


martedì 2 agosto 2016

SIRENA

di Juliao Vanazzi

È lei
Lei che arriva.
Quando pensi di sapere tutto
Di saper amare
E non volerlo fare
Ella giunge.
Il calore della pelle
Ed il ghiaccio del cuore
Come la bellezza di una rosa
Che nel buio muore
Ci mette un nulla a rapirti
E ti prende
Ti dilania
Ti distrugge
Si fa toccare
Poi fugge
E quando dalla tua anima
Lacerata
Strappa un gemito
che per nessun altra esiste
Sentimento in gabbia da troppo
Che zampilla come sangue
Da viva vena
Si mostra per ciò che è
Moderna sirena
Lasciando il tuo spirito bruciato
Annerito
Sofferente
Piangente.
E senti il dolore
Una volta solo ricordo
Tornare
Mentre lei scompare.


Artwork: "Sirena", Gianluca Bissolati

giovedì 21 luglio 2016

LA STRADA

di Juliao Vanazzi

Entro
Ne esco
Mi perdo
Rientro
E mi fermo
La mia vita
Realtà
Col tocco
L'inferno
Amore
Passione
Trofeo di qualcuno
Vittoria a nessuno
Nella ricerca
Piangendo
Di Dio
Così
Da falso profeta
Ne scopro il desìo
Che ormai già perso
Già pietra
Già calce
L'intuito
E intelletto
Mi intralcia.
Poiché quel bacio
Una volta sì vivo
Di quando eri mia
Ora è solo poesia
E di una pagina
Una nota
O un accordo
Resta solo il ricordo.




Artwork, "La Strada", di Gianluca Bissolati

martedì 19 luglio 2016

CERCHIO

di Gianluca Bissolati

Le rondini ritornano,
le foglie che ricrescono,
lancette che ticchettano
tornando poi ogni volta
da dove eran venute.

La luna torna piena,
il sole torna caldo.
La vita mia che cambia,
ma torno poi ogni volta
a domandarmi cosa manca.


mercoledì 29 giugno 2016

VITE IN GUERRA

di Gianluca Bissolati

Soldati alla rinfusa
in cerca di una meta,
trascinano ormai stanchi
le membra tartassate
e i cuori tumefatti.
Per queste vie scoscese
speriamo nella nebbia
di scorgere una meta
che pare poi ogni istante
un poco più lontana.
Battaglie per la vita
si tengon nella notte,
ed anche la speranza
da sempre a nostro capo
ci pare in fin di vita.

martedì 14 giugno 2016

FUGA DI UNA SOLA NOTTE

di Gianluca Bissolati


La giungla urbana
ricolma di alberi grigi
con rami elettrofori,
e la gettata nera
di erba di catrame
su cui vagare scalzi,
mi appare un poco meglio,
seppur nell'indecenza,
che star rinchiuso in me
col fumo dei pensieri
di gomma che brucia.
E dentro si sta male,
e fuori è tutto morto:
così dipingo il mondo
di verde fantasia.

venerdì 3 giugno 2016

INTRODUZIONE A "PACE PER IL FUTURO", MOSTRA DEL 2 GIUGNO 2016

di Gianluca Bissolati

Ho scelto la poesia “Pace per il futuro” perché mi sembra che tratti uno dei temi più importanti dei giorni nostri relativi alle TRANSIZIONI: l'incontro di culture diverse.
Parlare di incontro di culture nel giorno in cui si festeggia la nostra Repubblica mi sembra di cruciale importanza, in quanto ci spinge a domandarci cosa accadrà – e cosa sta già accadendo - nel nostro Stato. Sappiamo tutti quanto nell'ultimo periodo le migrazioni da paesi lontani interessino da vicino la nostra realtà; e questo è un dato di fatto, che piaccia o meno.
Non voglio entrare nell'ambito politico, ma credo che in un mondo in rapida trasformazione, in cui i confini nazionali stanno lentamente cambiando il loro significato, questo scambio di vedute tra popoli diversi vada affrontato come un'opportunità piuttosto che una minaccia.
So di esprimere un'idea che molti non condividono, ma voglio comunque fare il guastafeste ed invitare tutti a riflettere su di un modo di considerare la cultura come un qualcosa che cambia e si evolve nell'incontro di persone e popoli differenti.
So anche che questo incontro non è esente da pericoli. Abbiamo tutti in mente i gravissimi errori che si stanno compiendo in questi anni: uno tra tutti il terrorismo, che legittimamente ci spaventa. Ma io credo che non si debba cedere alla logica del terrore e dell'odio. È evidente che in un momento di incontri complicati come quello in cui stiamo vivendo, qualcuno commetta degli errori, errori anche gravissimi. Ma noi non dobbiamo fermarci solo a questo, e dobbiamo avere il coraggio di superare questi anni difficili tenendo ben presente che se riusciremo a vedere oltre a questi sbagli, un mondo migliore sarà possibile. Un mondo in cui le parti in conflitti, dopo anni di vicinanza, potrebbero iniziare a comprendersi ed a accettarsi nonostante le differenze.
Può sembrare impossibile in certi frangenti, ma il coraggio si vede proprio quando si decide di combattere – in questo caso combattere ideologicamente e pacificamente – quando la situazione è critica.
Per questi motivi, con la poesia che ho scelto, cerco di tendere una mano verso chi ci sembra tanto differente, con il coraggio di chi sa che la mano tesa in segno di pace potrebbe anche essere ferita, ma nonostante tutto non si fermerà nella ricerca di una “Pace per il futuro”, simboleggiata nel testo della poesia come una carezza. Dobbiamo essere più forti dell'odio, non possiamo pensare di combattere l'odio con altro odio: si avvierebbe una spirale infinita, e sarebbe da stupidi gettarsi in questa spirale. Da stupidi per noi, e per quelli che verranno dopo di noi.
Così quando scrissi queste righe, da solo, in silenzio, pensavo di parlare ad un uomo proveniente da un paese lontano, diverso da quello in cui viviamo, cercando di esprimere quanto nonostante le differenze fosse possibile andare d'accordo creando un mondo nuovo, e lo facevo pensando di dirgli queste poche parole:

Siamo fratelli
e ci facciamo guerra.
Con te ho più in comune
che colui che mi comanda.
Siamo ciechi
perché vedere fa male
che il mondo nostro padre
è un padre che muore.
Fratello
ti tendo la mano,
non la ferire,
perché anche sanguinante
non fermerò la mia carezza.
Togliamo la benda
che il mondo ci impone,
facciamo pace
per il bene comune.
Mano nella mano,
come una famiglia,
saremo i padri
del mondo che viene.

mercoledì 18 maggio 2016

DIALOGO AL CALVARIO

di Gianluca Bissolati

“È morto il migliore”,
disse la colomba
e con un gran strillare
fece eco una tromba.

“Va al cielo il grande Santo”,
rispose il passerotto.
“Mai ci fu altrettanto
un uomo così dotto”.

“La morte è tutta uguale”,
rispose secco il corvo.
“Un santo oppure un cane,
nessuno è mai risorto”.

lunedì 16 maggio 2016

AMARO

di Juliao Vanazzi

Prima che mi dimentichi
Inebriato
Il tuo rimprovero
Lascia che ti dica quanto è stato amaro
Una ferita ad un cuore nero
Che poco lascia passare
Se non il male che tu mi hai fatto
Giustamente
Vedendomi come un nulla
Ebbene un nulla resterò
Dandoti ragione