di Gianluca Bissolati
I
due si amavano, troppo per essere descritto a parole; troppo per
essere compreso a pieno persino da loro. Non trascorreva giorno senza
che si trovassero, senza che giocassero a guardarsi, a baciarsi, a
progettare il futuro. Volevano convivere, senza però sposarsi;
credevano che il contratto matrimoniale fosse una mancanza di fiducia
per la grandezza del loro sentimento. Perché costringersi a stare
insieme firmando un foglio di carta? I loro cuori che battevano
all'unisono non erano più che sufficienti per avere la certezza di
non separasi mai?
La
mattina il ragazzo si svegliava pensando a lei; lei, ancor prima di
svegliarsi, aveva nella mente l'immagine di lui, dipinta in un sogno
fantastico, talmente bello da non volersi svegliare. Lui le scriveva,
lei rispondeva. Lui andava a prenderla sotto casa, e lei lo faceva
aspettare. Non lo faceva per molto, al massimo dieci minuti, quanto
bastava per aumentare il desiderio di vedersi. Dopo averlo fatto
attendere scendeva, e il ragazzo le correva incontro, prendendola
per i fianchi e baciandola.
Avevano
lui vent'anni, lei diciotto.
Nessuno
dei due lavorava. Le scuole erano finite da poco per entrambi; lei
promossa con novanta centesimi alla maturità, lui con sessanta, dopo
essere stato bocciato due volte in terza superiore. Non avevano nulla
per la testa, se non loro stessi, l'uno esistente solo per l'altra:
erano il ritratto della miglior forma di egoismo che si possa
immaginare, quella condivisa con una persona speciale. Nulla poteva
andare storto. O forse no.
I
telegiornali parlavano di scontri armati a sud del paese; non ci
sarebbe voluto molto prima che il conflitto si espandesse a livello
nazionale. Gli invasori, arrivati dalla Libia, cercavano di
conquistare il territorio italiano per il bene della loro causa.
Ma
ai due giovani questo non importava; non sapevano nemmeno cosa stesse
accadendo a livello internazionale, fino a che, una mattina, dopo
aver mandato il buongiorno alla sua fidanzata, lui ricevette una
lettera dall'esercito italiano. Poche righe, una convocazione: la
leva era di nuovo obbligatoria, ed il ragazzo era desiderato in una
caserma del sud Italia, nel pieno del conflitto. Naturalmente lo
avrebbero addestrato prima di mandarlo a combattere, e naturalmente,
una volta pronto, non si sarebbe potuto tirare indietro.
Il
ventenne prese in mano il cellulare, e per prima cosa, tra le
lacrime, compose a memoria il numero di lei. La ragazza ancora
dormiva, ma sentendo il cellulare squillare con insistenza si
svegliò, ed un sorriso le illumino il volto. Rispose raggiante,
contenta che il suo tesoro l'avesse chiamata per darle il buongiorno,
ma lui aveva una voce strana, era chiaramente sconvolto. Le disse che
voleva vederla subito. La giovane, saltando giù dal letto, senza
chiedere spiegazioni gli disse di presentarsi tra dieci minuti sotto
casa.
Quando
arrivò lo vide con gli occhi rossi, più tardi, quando si divisero,
entrambi non avevano più lacrime da spendere. Parlarono per più di
tre ore, cercando in ogni modo di trovare un rimedio al problema che
era sorto. Ma non si trattava di un semplice litigio, si trattava
della guerra, e loro due, nemmeno con tutto il loro amore, avrebbero
potuto risolvere da soli il conflitto.
Il
giorno della partenza arrivò, ed insieme ad altri cento ragazzi del
paese il giovane si incamminò verso il pullman che lo avrebbe
condotto alla stazione. La madre e il padre lo salutarono, timorosi
che quella fosse l'ultima volta in cui avrebbero visto il figlio
vivo. Lei intanto piangeva in disparte, senza nemmeno alzare gli
occhi sul mezzo che aveva ingurgitato il suo fidanzato.
I due avevano trascorso insieme la notte precedente, e tutto quello
che avevano da dirsi se l'erano già detti. Lui aveva sussurrato alla
fidanzata che se non fosse tornato dalla guerra lei si sarebbe dovuta
rifare una vita, la ragazza a queste parole aveva eroicamente
trattenuto le lacrime, e con un sorriso più tirato di quanto
sperasse, gli aveva risposto di non dire cazzate, perché da quella
dannata guerra sarebbe tornato, ed allora avrebbero comprato una casa
e sarebbero andati a vivere da soli. Si erano baciati, e facendolo
aveva messo l'una la mano sul cuore dell'altro, rimanendo uniti in
silenzio, ascoltato i loro battiti cardiaci incedere all'unisono.
Ma
ora lei non c'era più. C'era solo lui, che guardava fuori dal
finestrino del treno che lo avrebbe condotto in Calabria. Cosa
sarebbe stato della sua vita? Cosa avrebbe visto una volta arrivato
alla meta?
Nel
giro di mezza giornata giunsero a destinazione. Il luogo in cui era
situata la caserma era ancora pacifico, ma di lì a poco più di
trenta chilometri, oltre lo stretto, i razzi rimbombavano per i
vicoli dei paesi affacciati sul mare. Lui, udendo in lontananza il
rumore degli scoppi, si chiese quanto tempo ci sarebbe voluto prima
che la guerra infuriasse anche lì.
Non
ci volle molto. Dopo soli quattro mesi di addestramento, il primo
razzo a lunga gittata distrusse una delle case poco distanti la
caserma, colpendo chiaramente il bersaglio sbagliato. Mandato dal
comandante insieme agli altri soldati a prestare soccorso, giunto sul
luogo dell'incidente fu investito da un nauseante odore di sangue, e
una scena raccapricciante gli si presentò alla vista: una donna di
poco più di settant'anni che teneva tra le braccia il corpo senza
gambe di un ragazzino di dieci anni. L'anziana urlava disperata,
mostrando una bocca sdentata grande quanto una caverna. Il ragazzino,
sul punto di morire, si dimenava portandosi le mani al volto, e dopo
qualche sussulto, con un rantolo che sembrava provenire dall'inferno,
si spense tra le urla della nonna. Il giovane soldato assistette come
intontito al macabro spettacolo, e prima ancora di muovere un passo
in direzione degli sventurati, fu colto da un conato di vomito. Come
se le budella gli si torcessero, si ritrovò a rigurgitare la sua
stessa bile nel mezzo della piazza, finendo con l'accasciarsi a terra
privo di sensi.
Al
suo risveglio era in caserma, sulla branda che aveva occupato per
tutti e quattro i mesi del suo addestramento. Un altro soldato, con
tono perentorio e sguardo spento, informò il giovane che il
comandante lo attendeva nel suo ufficio. Con passo strascicato, il
ventenne si diresse alla convocazione, dove il superiore che lo
desiderava era intendo a compilare scartoffie.
Il
colloquio fu breve. A seguito dell'accaduto, il comandante aveva
giudicato il giovane non atto al campo di battaglia; sarebbe tornato
a casa, dove lavorando per il bene della Patria sarebbe stato
sicuramente più utile alla causa italiana. Non doveva prendere
questa decisione come una sconfitta - aveva detto il superiore -
doveva vederla come una nuova opportunità, più adatta a lui, per
prestare un servizio realmente indispensabile al paese. Il ragazzo si
limitò ad annuire ad ogni parola del militare di grado superiore,
prima di andare a preparare la valigia per il ritorno.
Come
sul treno quattro mesi prima, anche in camerata regnava il silenzio.
Non erano in molti quelli rientrati alla base, ma i pochi uomini
nello stanzone lo guardavano tutti con occhi spenti. Cosa c'era nel
loro sguardo che ieri non c'era? O forse, cosa mancava oggi, rispetto
al giorno prima? Guardando quei volti come se fossero uno specchio,
si chiese se anche il proprio viso fosse mutato tanto violentemente
nel giro di poche ore.
La
notte giunse umida e calda. Nessuno riusciva a dormire; lui men che
meno. Ogni volta che chiudeva gli occhi, sulle palpebre gli si
disegnava la bocca sdentata della vecchia urlante. Per quanto tempo
quel ricordo non lo avrebbe fatto dormire? Per quanto tempo si
sarebbe sentito un fallito per non essere riuscito a soccorrere
un'anziana che trasportava il nipote mutilato?
Il
mattino seguente, al sorgere del sole, si diresse da solo alla
fermata del pullman. Nessuno degli altri ragazzi era venuto a
salutarlo, nessuno del paese si preoccupava di lui. Del resto, non si
aspettava nulla di diverso. Non c'era tempo per quelli come lui; non
con delle macerie in cui scavare, non con dei corpi da seppellire,
non con una vecchia da consolare.
Giunto
sul treno, dopo un tempo indefinibile, si ricordò per la prima volta
della sua ragazza. Si ricordò del bacio prima della partenza, delle
mani sui cuori, della promessa di comprarsi una casa per vivere
insieme. Sembrava essere successo tutto in un'altra vita. L'avrebbe
voluto anche dopo il fallimento? L'avrebbe accettato, nonostante il
volto cambiato dalla morte?
Una
volta arrivato al paese d'origine, nel pacifico nord Italia, in pochi
lo aspettavano: solo i genitori e lei, più piccola ed insignificante
di quanto ricordasse. Il padre lo abbracciò, la madre in lacrime lo
chiamò “il suo bambino”, mentre la sua fidanzata gli si appese
letteralmente al suo collo, baciandolo sulle labbra, che rimasero
stranamente inerti.
Lei
si accorse immediatamente che qualcosa era cambiato. Era ancora il
suo amato quello che era tornato dalla guerra? Cosa era successo per
averlo stravolto in quel modo?
Il
giorno seguente i due si trovarono sotto casa della diciottenne, come
erano soliti fare. Non fu lui a chiedere di uscire, anzi, se lei non
lo avesse pregato, lui non si sarebbe di certo presentato.
_Cosa
è successo in questi mesi?
_Tante
cose.
_Mi
sei mancato.
_Grazie.
Nulla
in lui era sopravvissuto all'esplosione di qualche giorno addietro.
Anche ora, mentre parlava con quella che era la sua fidanzata, vedeva
alle spalle della giovane una vecchia con la bocca grande come una
caverna, urlante di disperazione con in braccio il nipote coperto di
sangue.
L'ex
soldato non stava per niente bene, sentiva di avere la febbre. Lei,
dal canto suo, aveva il cuore a pezzi per le risposte del fidanzato.
Perché non le parlava più come un tempo? Perché ignorava il suo
amore? Dopo un breve colloquio di venti minuti, i due si separarono,
rimanendo d'accordo che si sarebbero rivisti quando lui fosse stato
meglio.
Non
si videro per due settimane. In quel lasso di tempo il giovane non
dormì per più di quattro ore a notte. Durante i brevi periodi di
sonno, sentiva ancora l'esplosione che aveva fatto tremare la terra,
vedeva la caverna della vecchia, il ragazzo senza gambe, il suo
vomito. Mentre era sveglio, pensava alla fidanzata. La voleva ancora?
Lei, in fondo, era sempre quella di prima. Ma lui? Cosa era
diventato? Perché aveva perso interesse per la sua amata? Lui ormai
era l'ombra di se stesso: si sentiva uno scarto della società; un
inetto. Non era più adatto per lei; come lei non era più adatta per
lui. Come avrebbe potuto capirlo quella ragazza, dal momento che non
aveva mai visto la vecchia urlante? Come avrebbe potuto capirlo
chiunque altro in quel paese, dopo quello che aveva passato?
Quando
si rividero dopo due settimane, lei scese le scale lentamente, a
testa bassa. Non lo abbracciò, non le sembrava il caso di farlo;
ormai era trascorsa una vita intera dall'ultima volta che si erano
visti. Nemmeno lui alzava lo sguardo, e anche se lo avesse fatto, non
avrebbe trovato nulla di quello che gli aveva fatto perdere la testa
solo quattro mesi prima.
Rimasero
insieme solo mezz'ora, dove un pesante silenzio fece da cornice alle
poche frasi che si scambiarono.
_Non
sono più quello di prima.
_Perché?
Che è successo in guerra?
_Non
puoi capire.
_Prova
a spiegarmi.
Cosa
avrebbe potuto dirle? Lei non aveva visto; lei non avrebbe mai
compreso quello a cui si riferiva. Provò comunque a dire ciò che
ricordava. Cercò di essere chiaro, ma col tempo il ricordo si era
mescolato con gli incubi dettati dalla febbre, e forse ben poco di
quel giorno si era preservato come realmente era accaduto.
_C'è
stata un'esplosione. Una vecchia, una caverna, un ragazzino senza
gambe ed il vuoto. Un vuoto che divora, che non lascia niente. Ci
sono stati occhi che poi non c'erano più. Ci sono stati morti;
soldati a cui è stata tolta la vita. Fu un massacro, ed io rimasi
là, a terra, incapace di rialzarmi.
_Ma
ora è passato! Ora sei qua, ci sono io ad aiutarti!
_No.
Sapevo che non avresti capito, è normale, non è colpa tua. La
guerra distrugge; la guerra spacca tutto, uomini e cose. Lascia
macerie di case e di anime. Ho visto una sola costruzione distrutta,
e ne ho sentite molte andare in frantumi, in lontananza. Ma ho visto
troppe anime cadere a pezzi. Ho visto una donna frantumarsi nella sua
caverna, e sono rimasto a terra, da dove non sono stato in grado di
rialzarmi, e forse non lo farò mai.
_Cosa
significa tutto questo? Cosa stai cercando di dirmi? Che non mi vuoi
più? Che non terrai fede alle tue promesse?
Lui
non la guardava. Sapeva che lei stava piangendo, ma non riusciva
nemmeno a comprendere il perché di tanto dolore. In fondo non
c'erano né bombe né cadaveri. Dandole la schiena e tenendo la testa
bassa, prima di andarsene rispose per l'ultima volta a quella che era
stata la sua ragazza.
_La
guerra distrugge tutto. La guerra uccide, e a quanto pare uccide
anche ciò che sembrava immortale. La morte non può mantenere le
promesse della vita; la morte può solo concludere le storie, e noi
siamo solo un'altra vittima. Non può essere altrimenti, scusa.
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