sabato 25 aprile 2015

La Banda Del Cortile: APPENDICE (storia breve a seguito del romanzo)

di Gianluca Bissolati

Disteso sul letto, in una notte dannata in cui il sonno tarda ad arrivare, mi interrogo sul senso della mia esistenza.
Di solito non sono così profondo, ma questa maledetta notte un attacco improvviso di depressione mi coglie e non smette di affondare i suoi artigli nel mio cervello inerte. Non che le altri notti il mio cervello mi sia amico, ma questa volta ha deciso di dichiararmi ufficialmente guerra, accartocciandosi su se stesso e facendomi capire che è pronto ad abbandonarmi quando vuole.
Qual è il mio scopo? Con che criterio posso giudicare la mia vita utile per qualcosa e qualcuno? Perché è questo che sto facendo, mi ergo a giudice della mia esistenza, prima che un ipotetico Dio possa farlo e farmi una qualche rivelazione a cui da solo non sono ancora giunto.
Non capita spesso che io salga in cattedra e inizi a dare giudizi su me stesso. A dire il vero, non capita quasi mai di sentirmi dare giudizi in generale; talmente consapevole della mia pochezza, non oso attribuire ad altri le mancanze di cui sono colpevole io stesso. E questo è il mio primo giudizio: sono una persona da poco.
Cosa mi rende speciale in confronto alla massa? Nulla. Ho due figli, una moglie che mi sta accanto in ogni necessità ed un bel lavoro in un ristorante/pizzeria, ma questo non fa di me un individuo degno di esistere. Ci vorrebbe ben altro.
Cosa ci vorrebbe? Non lo so nemmeno io. A volte credo che basterebbe solo condurre le mie giornate in modo diverso dal solito per far sì che la mia esistenza possa assumere un qualche valore ai miei stessi occhi, occhi della mente, si intende. Sono consapevole che tutti questi pensieri negativi domani mattina mi avranno abbandonato, sono consapevole di ogni cosa che mi riguarda direttamente in questo preciso istante ma, nel frattempo, mentre lo sconforto più nero mi assale, non posso fare a meno di naufragare in questo oceano di disperazione che mi affoga senza un particolare motivo. Devo essere sempre stato in questa immensità di sconforto ma, per qualche motivo, la piccola scialuppa su cui navigavo a vista deve avere subito un danno. Magari anche solo un piccolo buco nello scafo, ma il gelo che vi entra e mi bagna i piedi fa sì che tutto il corpo sia scosso da tremori.
Non oso nemmeno immaginare come possa essere trovarsi immerso del tutto in quel dannato e ipotetico oceano. Anzi, credo di esserci pure stato per un po' di tempo, quando ero ancora giovane. Credo che oggi non resisterei. Credo che non resisterebbe nessuno nelle mie condizioni, a dire il vero.
Da cosa è stata causata questa falla alla mia scialuppa? Da mia moglie probabilmente. Lei, la regina eternamente bambina e sovrana dei miei sentimenti, oggi è tiranna del mio cuore e, senza muovere un dito, tiene in pugno il mio cervello e i miei sentimenti.
È evidente: valgo davvero poco singolarmente. Senza di lei al mio fianco non sono assolutamente nulla. Ero talmente assuefatto alla sua presenza che, prima di questo momento, non ricordavo quanto grande potesse essere la sua mancanza. Caspita! Non se ne è andata per sempre! Tornerà, probabilmente già domani. Eppure, oggi mi sento un vuoto nello stomaco che solo il nutrimento del suo sorriso può colmare.
Come sono romantico. Come sono vigliaccamente romantico. Solo quando è assente riesco a dare un senso ai sentimenti a cui solitamente non sono nemmeno in grado di dare forma. Perché non le dico mai queste parole? Perché non le parlo chiaramente? Forse perché tutto questo lo sa già; o forse perché significherebbe aprire uno squarcio nella mia illusoria coperta di certezze. Mi rimetterei completamente a lei se le rivelassi questi pensieri. Ma forse sono già totalmente nelle sue mani, anzi, certamente lo sono, quindi perché non mostrarle una volta per tutte la mia debolezza ed offrirle su un piatto d'argento il pugnale con cui potrà ferirmi a suo piacimento?
Ho deciso, approfittando della sua assenza e del sonno di quei due demoni che chiamo figli e che mi impediscono di godere pienamente dell'amore che nutro nei confronti di mia moglie, le scriverò una lettera che molto probabilmente domattina non avrò il coraggio di farle leggere.
Mi alzo deciso, molto più di quanto io non sia realmente, e senza fare rumore mi dirigo in cucina dove trovo dei fogli privi di qualsivoglia valore e inizio a trasferire al bianco delle pagine il valore dei miei sentimenti.

Principessa - non uso il tuo nome perché in un contesto del genere mi sembrerebbe irrispettoso - aspetto il tuo ritorno e nel frattempo cerco con la forza della mente di non sentire la tua mancanza, immaginandoti qui, a fianco a me, a tenermi compagnia anche in questa notte gelida di agosto.
Ho un'infinità di cose da dirti e proprio trovandomi di fronte all'infinito non so nemmeno da che punto cominciare. Potrei dirti che ti amo, ma questo sarebbe troppo banale e, anche nella banalità della parola in sé, la mia incertezza nella scrittura mi impedirebbe di farti capire fino in fondo l'immensità di ciò che provo per te.
Inizierò invece dicendoti che ti odio. Sì, ti odio. Ti odio perché mi hai tolto la libertà, che un tempo possedevo, di pensarmi come un essere singolo, mentre ora non penso che a me stesso come a “Me” e “Te”, in cui i pronomi singolari perdono importanza ed acquista valore solamente il “Noi”. Ti odio ancora di più perché con la tua immensa dolcezza hai fatto sì che io mi dimenticassi del tutto, oppure iniziassi a disprezzare - non mi è ancora chiaro - il modo in cui ci si sente ad essere solo.
Ti ringrazio, perché senza di te non avrei mai potuto capire la grandezza del mio animo quando ti è vicino, e ti odio perché quando non ci sei mi rendo conto sempre di più di quanto esso sia insignificante.
Sai che non sono bravo a parlare e ti ringrazio perché hai sempre accettato questa mia mancanza. Allo stesso tempo ti odio perché hai fatto sì che io non fossi più in grado di sorvolare su questa mia lacuna.
Rileggendo queste righe provo il forte impulso di strappare il foglio e mandare tutto al diavolo, di tornare nel letto a cercare un sonno che sembra essere fuggito, ma non lo faccio. Un po' perché so che quando sarò nuovamente sotto le lenzuola, mi ritroverò nella stessa condizione in cui mi trovavo prima: ad osservare il vuoto nel posto in cui ero abituato a vederti dopo essermi coricato o appena alzato. Un po' non lo faccio perché su questo foglio trovo il testimone della mia esistenza: trovo te.
Come è possibile trovarti in un luogo in cui sei palesemente assente? Come è possibile che tu sia su questo fottuto foglio insignificante? Ma la domanda vera dovrebbe essere come è possibile che io trovi testimonianza di te in ogni singola cosa che osservo.
Principessa, mi hai reso tuo schiavo dandomi l'illusione di essere il tuo cavaliere.
Sai, a volte mi fa strano chiamarti ancora Principessa. Lo faccio ormai da talmente tanti anni che non ho nemmeno più la voglia di tenerne il conto. Eppure non riesco a smettere. Lo facevo quando entrambi eravamo ragazzi e tu eri la “mia piccola” e lo faccio anche oggi che mi rendo conto di essere io quello piccolo, comparato a te.
Il punto è che per me tu rimarrai sempre piccola, pur sapendo benissimo che non lo sei. Nei tuoi comportamenti maturi della donna che sei diventata, rivedo ancora la ragazzina di cui mi sono innamorato. A volte mi chiedo come sia possibile. Come fai a resistere al mondo mantenendoti così pura, proprio come eri un tempo?
La mia vita mi ha cambiato. I problemi che sono sopraggiunti e che abbiamo affrontato sempre insieme mi hanno reso l'uomo meschino che sono ora. Che poi, so di non essere così male come mi descrivo, perché altrimenti un angelo come te non starebbe insieme ad un povero diavolo come me, ma ormai credo che tu l'abbia capito: questa notte è particolare e non posso fare altro che assecondare le sue stranezze abbandonandomi al flusso di pensieri scollegati che mi travolge mentre ti penso.
Ma tu non sei cambiata. Tu sei sempre rimasta la ragazza che mi ha fatto innamorare e che continua a tenermi con il fiato sospeso ogni volta che la vedo.
Me ne sono reso conto diversi anni fa, nel momento di tua massima fragilità in cui, ancora una volta, mi hai stupito con la tua forza. Non so se questi sono i termini giusti, ma non riesco a trovare parole migliori per descrivere il momento del parto, quando hai dato alla luce il nostro primo figlio.
Eri lì, distesa sul lettino dell'ospedale, sudata e con il viso contratto in una smorfia di dolore eppure, anche così trasfigurata, continuavo a vedere i lineamenti dell'Angelo che ho sempre conosciuto. Sei stata davvero eccezionale. Non credo di avertelo mai detto, ma stasera voglio farlo.
Mi sono ricordato di quando eri una ragazzina - non che ora tu sia vecchia, sia chiaro, ma anche tu sei molto maturata da allora  - ed ho visto in quel ricordo tutta la forza che un tempo non ero riuscito a scorgere con tanta chiarezza. Ti ho rivista nel giorno del nostro primo incontro: io a fare l'accoglienza nel ristorante in cui venivi spesso e tu, immensamente stupenda, in piedi davanti al bancone ad aspettare l'arrivo di tuo padre. Ricordo di avere avuto un mancamento, tanto pensavo che tu fossi solo un'illusione. E ora, ripensando ancora al momento in cui mi hai reso padre, ho di nuovo lo stesso mancamento perché rivedo la forza che avevi tu e che io non avrei mai potuto avere.
Se ripenso che prima, quando le cose erano appena cominciate, ho rischiato addirittura di perderti per sempre a causa del mio stupido orgoglio, provo l'impulso di prendermi a schiaffi. Anzi, ti rivelo un segreto: una volta l'ho pure fatto, ma non dirlo a nessuno Principessa.
Sarà il caso che ora lasci la penna e ritorni ad osservare il soffitto della nostra camera da letto. Sai, ero partito col proposito di scriverti due righe e sono già arrivato a tre pagine. Spero di non averti seccato.
Ora, Angelo mio, tornerò silenziosamente da dove sono venuto e terrò in mano la lettera che contiene tutto quello che ti ho sempre voluto dire e che finalmente ho trovato il coraggio di scrivere. Lo so che non è la stessa cosa, ma sono sicuro che perdonerai anche questa mia mancanza.
Mai parole furono usate in modo più improprio durante la stesura di una dichiarazione d'amore. Mai la parola odio fu utilizzata per descrivere l'immensità dell'amore che un uomo può provare nei confronti di una donna, ma so che mi conosci, molto più di quanto mi conosca io stesso, e so che sorvolerai anche su questa indecenza.
Buongiorno Principessa, perché anche se è notte, tu leggerai queste righe alla luce del sole e spero che ti faranno passare una giornata felice.
Ti amo. È la prima volta che te lo dico chiaramente, ma l'ho sempre pensato. Lo sai.

Mi sento stranamente esausto, dopo lo sforzo di scrivere. Mai avrei pensato che ne sarei stato in grado, eppure ci sono riuscito stupendomi ancora una volta.
Sapevo che mi avrebbe fatto bene scrivere e dare un ordine ai miei pensieri. Mi sento già meglio.
Facendo le scale di corsa rischio di svegliare quegli angioletti dei miei figli. Ma tutto sommato non mi importa: tengo in mano il mio cuore in forma cartacea e so che facendolo mi sto liberando di un peso enorme.
Perché non l'ho fatto prima? Perché non sono riuscito mai a provare la liberazione di scrivere quelle due paroline che sono “Ti Amo”?
Non lo so, e non mi interessa. Non ha più senso ormai. Arrivando al letto appoggio la lettera sul cuscino di mia moglie e mi sdraio sulla mia parte.
Ti vedo già, mentre leggi quello che ti ho scritto e magari mi dai dello stupido. Ti vedo già mentre sorridi e forse piangi, mentre mi ami e forse mi vorresti prendere a schiaffi.
Sei il vento che tiene viva la mia fiamma, sei il calore che scalda le mie giornate. Non te l'ho scritto nella lettera ma, chi lo sa?, magari in un futuro prossimo, quando sarò ancora attanagliato dai dubbi che mi hanno tenuto sveglio questa notte potrei scriverti anche di quello.
Ora dormo, o almeno ci provo, ché domani si lavora. Non sono più il giovane che ero un tempo. Non vedo l'ora di rivederti e spero che sia lo stesso anche per te.
Prendo in mano il cellulare e sperando che anche tu mi stia pensando ti mando un messaggio come ai vecchi tempi.

BUONA NOTTE PRINCIPESSA.
MI MANCHI.

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