martedì 21 aprile 2015

LA BANDA DEL CORTILE: Breve introduzione

di Gianluca Bissolati

Che finisca ciò che inizia non è nulla di speciale
E non importa che cos’era o quanto per te vale



 Ora mi incazzo. Lo sento. Se parte ancora l’allarme, mi incazzo.
 Il caldo e la monotonia del lavoro in fabbrica stanno riducendo il mio cervello ad un omogeneizzato, e in più questa dannatissima macchina si ferma ogni due per tre facendo squillare l’allarme.
 Mezzo addormentato dopo sette ore e mezza a fissare delle padelle vuote che mi passano davanti ad un ritmo talmente lento ed insistente da ipnotizzare anche il più stoico degli insonni, la sirena alle mie spalle mi interrompe per l’ennesima volta proprio mentre sto iniziando a perdere la distinzione tra realtà e mondo dei sogni.
 Ok, sono incazzato.
 “Ma non si può fare niente per sta cavolo di macchina!?”
 Urlare non serve più di tanto, anzi, non fa altro che aumentare il mal di testa che mi martella alle tempie, ma almeno ha l’effetto di richiamare il capo turno. Non è un tipo che parla molto, quindi mi guarda limitandosi ad alzare le spalle e a spegnere l’allarme, poi se ne va senza fare nulla di concreto.
 Beh, sei utile. Potevo farlo pure io.
 L’incazzatura lascia il posto allo sconforto. Ho gli occhi pesanti e nel caldo estivo la fronte è imperlata di sudore; il lavoro fa cagare e l’essere umano più vicino a me in questa dannata fabbrica di dolciumi si trova a circa cinquanta metri.
 Per esempio oggi stiamo preparando una quantità inaudita di brioche da distribuire in tutta Italia. Il mio non è un compito impegnativo, non lo è per niente ad essere sinceri, consiste semplicemente nel controllare che la macchina sollevi tutte le brioche dalla padella su cui sono state appoggiate dopo essere uscite dal forno ed aver ricevuto il ripieno. Con una spatolina, devo staccare i resti di pasta rimasti sul vassoio.
 Uno dei lavori più alienanti che si possa immaginare.
 Il rumore delle macchine e la ripetitività dei gesti rendono questo posto un inferno. Come in un girone dantesco, la mia condanna ad osservare padelle vuote continua ogni giorno per otto ore.
 Meno male che mancano solo venti minuti alla fine del turno; anche se l’allarme alle mie spalle ha ripreso a strillare e io rischio di impazzire.
 Senza dire una parola e senza nemmeno chiamare il capoturno, mi volto e corro a spegnere La tromba dell’Inferno poi, senza perdere neanche un brandello di brioche, torno al mio posto isolato.
 Sono consapevole che al mondo esistono lavori di gran lunga peggiori, in fondo non è stancante e nemmeno impegnativo, ma cazzo! Si potesse almeno tenere un paio di cuffie per sentire un po’ di musica, sarebbe tutta un’altra cosa!
 Le caviglie iniziano a dolermi per la prolungata immobilità. Non vedo l’ora di sdraiarmi sul divano di casa e fare la muffa per un pomeriggio intero e, proprio mentre penso al morbido giaciglio su cui mi abbandonerò tra non molto, le palpebre cominciano nuovamente a farsi pesanti e quasi casco di naso sul macchinario che mi sta davanti.
 Tutto sommato non è poi così male essere soli. Si evitano molte figure di merda.
 Pur odiando questo mestiere, non posso far altro che essere sotto sotto felice di trovarmi qui.
 Almeno per oggi. Poi domani si vedrà.
 Non è un lavoro appagante, per nulla, ma i soldi in qualche modo bisogna pur guadagnarseli, quindi per il poco che durerà ancora questa situazione, me la faccio andare bene.
 Ancora dieci minuti.
 In famiglia non abbiamo seri problemi economici ma nemmeno navighiamo nell’oro. Viviamo tutti contando esclusivamente sul lavoro di mio padre.
 Quindi una volta finite le scuole ho voluto subito cercare un lavoro e fare la mia parte.
 Novecento euro al mese, non una cifra eccezionale ma pur sempre meglio di nulla senza contare che, d’accordo con i miei genitori, posso trattenere duecentocinquanta euro per le mie necessità.
Sette minuti.
 E devo dire che mi bastano. In fondo qualche serata al bar, le sigarette (molte) e le ricariche del cellulare sono le mie uniche spese.
Poter contribuire, anche se con poco, alla vita famigliare, mi fa davvero piacere. Mi fa sentire in un certo senso importante. È il mio modo di ringraziare i miei genitori.
 Tre.
 Che comunque potrebbero andare avanti anche senza il mio stipendio. Come infatti accadrà.
 Due.
 Sì, perché le cose ultimamente in questa fabbrica vanno peggio del solito. Dipendenti non pagati, persone licenziate e solo contratti a tempo determinato per i nuovi arrivi.
 Uno.
 Quindi non mi stupisce più di tanto di come le cose siano andate per me e molti altri nuovi assunti. E non ci posso fare nulla, quindi...
 Zero.
 ‘Fanculo, sono disoccupato.

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